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 2017  gennaio 18 Mercoledì calendario

La figlia del camorrista a 8 anni lavorava per confezionare le dosi

NAPOLI I tossicomani sanno di poter bussare in ogni momento alla porta di uno spacciatore: sicuramente ci sarà sempre qualcuno ad aprirgli. A quello che alle 3 di notte del 17 agosto 2015 fece suonare il campanello di una casa nei vicoli del Pallonetto di Santa Lucia, la porta l’aprì un ragazzino di tredici anni. Che dovette dirgli di ripassare il giorno dopo perché «non ce ne sta più», mentre dall’altra stanza la madre gli gridava di «non dare niente senza soldi» e lui la tranquillizzava: «Lo so».
Il ragazzino era sveglio a quell’ora perché era rincasato da poco. Lui le consegne le andava a fare a domicilio e finiva sempre tardi. Gli capitava pure di non poterne più, quando gli arrivava l’ennesima chiamata dalla madre che gli consegnava il pacchetto e gli diceva dove portarlo. «Un’altra volta, mamma?».
La sua voce ancora da bambino è finita nelle intercettazioni che i carabinieri hanno raccolto durante una lunga indagine su un clan camorristico attivo tra la zona del lungomare di Via Caracciolo e via Partenope e piazza del Plebiscito, quindi un’area tra le più belle e più importanti di Napoli.
I vicoli del Pallonetto una volta erano la roccaforte dei contrabbandieri di sigarette, quelli degli scafi blu. Sembrano passati cent’anni, anche se ne sono passati meno della metà. Ora lì comandano quelli del clan Elia, una delle tante famiglie di camorra. Ieri ne sono stati arrestati quarantatré, fra appartenenti al nucleo familiare e affiliati. Anche diciassette donne tra i destinatari delle ordinanze di custodia cautelare firmate dal giudice delle indagini preliminari Claudia Picciotti su richiesta del procuratore aggiunto Filippo Beatrice e del sostituto Michele Del Prete. Mentre la posizione di quattro minori che hanno più di 14 anni, e sono quindi imputabili, è al vaglio del Tribunale per i minorenni.
Nel clan Elia, secondo quanto emerso dalle indagini, tutti partecipavano allo spaccio, e la storia del ragazzino sveglio alle 3 di notte non è nemmeno la più estrema. C’era perfino una bambina di otto anni che lavorava con dosi di cocaina e bustine. Ancora non le toccava andare in giro a fare le consegne, ma intanto le avevano insegnato come impacchettare la droga, operazione che eseguiva regolarmente in casa sotto l’occhio vigile della madre. La bimba quando ne parlava (pure la sua voce è finita nelle intercettazioni), diceva di fare «le palline», quasi fosse un gioco. Ma sapeva esattamente con che cosa avesse a che fare, e addirittura, scrivono in carabinieri in una delle informative redatte per il magistrato, «partecipava attivamente a molte conversazioni di natura illecita».
L’indagine che ha portato al blitz scattato ieri all’alba, ha fatto emergere anche altri episodi e altri scenari legati alle attività di questo clan che almeno fino all’altro giorno era potentissimo. Anche loro, per marcare il territorio, terrorizzavano il quartiere con quelle scorribande in cui si spara alla cieca, che vengono chiamate «stese» (la notte del 3 luglio 2015 ne è stata anche ripresa una dalle telecamere installate dai carabinieri). Poi c’erano le estorsioni, nei confronti di tutti, pure dei gestori delle piazze di spaccio. Un ristorante del lungomare, invece, la tangente doveva pagarla facendo mangiare gratis ogni giorno qualcuno del clan.