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 2017  gennaio 18 Mercoledì calendario

Tutte le bugie e le omissioni sul verbale. «Così coprirono i segreti di quella notte»

ROMA Tutto comincia (e finisce) con un verbale d’arresto. Redatto la notte tra il 15 e 16 ottobre 2009 a carico di «Cucchi Stefano, nato in Albania il 24.10.1975, in Italia S.F.D. (senza fissa dimora, ndr ), identificato a mezzo rilievi fotosegnaletici ed accertamenti dattiloscopici. Pregiudicato». Tutto falso, a parte il nome e lo status giuridico. Non solo perché Cucchi era nato in Italia in un giorno diverso, e risultava regolarmente residente presso l’indirizzo dei genitori che i carabinieri avevano appena perquisito.
Sono sbagliate anche la data e l’ora del verbale, ma soprattutto non è vero che l’identificazione avvenne tramite foto segnaletiche e impronte digitali. Anzi, proprio il fatto che il ragazzo non voleva sottoporsi a quella procedura provocò, secondo la ricostruzione dell’accusa, il diverbio sfociato nel «pestaggio» ad opera dei carabinieri che l’avevano arrestato. Due dei quali, Alessio Di Bernardo Raffele D’Alessandro, non compaiono nel verbale. Strano, visto che di solito la regola è che si aggiungono più nomi di quelli effettivi, giacché in questo modo si distribuiscono meriti a pioggia; in quel caso, invece, ce n’erano due in meno.
Altra omissione: nel resoconto non si fa cenno alla resistenza opposta da Cucchi al fotosegnalamento. E ancora: in coda al verbale è scritto che «il prevenuto, interpellato, dichiarava di non voler nominare un difensore di fiducia», da cui la nomina di un legale di ufficio. Falso pure questo, contesta oggi la Procura di Roma. E suona grottesca la postilla che il prevenuto «dichiarava di non dare notizia del suo avvenuto arresto ai propri familiari», visto che l’avevano portato via in manette davanti ai genitori.
Omissioni non casualiFinora tutto questo era stato giustificato con la banale spiegazione di una sovrapposizione, fatta al computer, tra il verbale d’arresto di Cucchi e quella di un cittadino albanese, con quelle generalità, fermato poco prima. Adesso non più. Adesso errori, omissioni e bugie diventano un capo d’accusa grave quasi quanto l’omicidio preterintenzionale, perché in quel pezzo di carta si nasconde – sostengono i pubblici ministeri – il depistaggio per coprire ciò che accadde la notte dell’arresto, nei locali della Compagnia Casilina dei carabinieri di Roma (mai nominata negli atti ufficiali). Dove il giovane tossicodipendente si oppose al fotosegnalamento, probabilmente anche in maniera violenta, e per questo fu colpito «con schiaffi, pugni e calci» che ne provocarono la caduta, le lesioni e – come ultima conseguenza – la morte.
Il lavoro minuzioso del sostituto procuratore Giovanni Musarò, coordinato dal capo dell’ufficio Giuseppe Pignatone, ha ricostruito gli eventi fino al dettaglio. Fino al registro delle operazioni tecniche sbianchettato per cancellare il nome di Cucchi (che però si legge in trasparenza). E con la testimonianza di un altro carabiniere animato da tutt’altro spirito, Pietro Schirone, che prese in consegna Cucchi la mattina seguente per portarlo in tribunale: «Chiesi al Tedesco se si erano resi conto delle condizioni dell’arrestato, riferendomi in modo palese al fatto che era fin troppo evidente che fosse stato pestato. Il Tedesco, senza mostrare alcuno stupore per le condizioni del Cucchi, rispose che l’arrestato non era stato affatto collaborativo al momento del fotosegnalamento».
Confessioni registrateLe intercettazioni tra gli indagati hanno svelato il resto. «Io me lo ricordo bene che lo portammo a fare il fotosegnalamento... si sbattette... io mi ricordo pure che ti dette uno schiaffo in faccia a te e si buttò a terra», confessa D’Alessandro parlando con Di Bernardo (i due militari scomparsi dal verbale d’arresto). E quello: «Ti ricordi?... In petto mi colse... mi diede un pugno a me e si buttò a terra e disse che non si voleva far toccare e ce lo portammo... ti ricordi?». E ancora a proposito della mancata verbalizzazione di questi particolari: «Io mi ricordo troppo bene quando chiamai a Mandolini e gli dissi... piglia e mettilo scritto nel verbale di arresto che questo non lo vuole fare». Commento di Di Bernardo: «Questo è perché la gente non sa lavorare, Raffaè».
L’ultimo atto delle coperture s’è tradotto nella calunnia contro gli agenti della polizia penitenziaria processati (e assolti) negli anni scorsi per le violenze inflitte a Cucchi. Secondo i pm Mandolini, Tedesco e Nicolardi, mentendo sulle condizioni di salute dell’arrestato e tacendo ciò che era successo in caserma, «implicitamente accusavano, sapendoli innocenti», gli imputati dei precedenti processi. Che adesso saranno parte civile nel nuovo giudizio, accanto ai familiari di Cucchi che prima erano i loro avversari. Un altro paradosso di questa brutta storia.