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 2017  gennaio 18 Mercoledì calendario

Dai monarchici a Berlusconi. La scalata di Antonio. «Metà staff sarà di donne»

STRASBURGO A Gijon, nelle Asturie, c’è una Calle Antonio Tajani. Gliel’hanno dedicata, a furor di popolo, le locali autorità spagnole nell’aprile 2015. È il ringraziamento per la mediazione condotta un anno prima dall’allora Commissario europeo all’Industria con l’azienda americana Tenneco, decisa a chiudere la sua fabbrica di sospensioni «high performance» con 210 operai. L’impianto è ancora in funzione, fa profitti e i posti sono tutti salvi.
È fatto anche di questo il successo in Europa di Antonio Tajani, eletto ieri sera presidente del Parlamento della Ue, primo italiano dopo quattro decenni (l’ultimo fu Emilio Colombo nel 1977-79) a guidare l’assemblea di Strasburgo.
Sessantadue anni, laurea in legge alla Sapienza, ex giornalista, abitudini semplici come la pizza settimanale con moglie e i due figli in una trattoria del Pinciano, Tajani arriva all’appuntamento della vita dopo un percorso non scontato, costruito pezzo per pezzo con tenacia e discrezione, spesso fuori dalla ribalta mediatica. Come altri italiani saliti alla guida di organizzazioni internazionali, da Renato Ruggero a Mario Draghi, la sua non è stata una candidatura di sistema-Paese, ma frutto in primo luogo di un impegno personale.
Ed è la vetta di una parabola atipica, quella raggiunta dall’ex studente del liceo Tasso, negli stessi anni di Paolo Gentiloni ma schierato sul fronte opposto, in gioventù militante del Fronte monarchico nazionale, poi cronista d’interni e inviato di esteri per il Giornale di Montanelli, prima di approdare alla politica con Silvio Berlusconi.
A Montecitorio se lo ricordano come collega d’assalto. Certo lo confermerebbe la buonanima di Alfredo Pazzaglia, deputato missino, il quale nel 1987 dopo aver letto un suo articolo che lo riguardava, perse le staffe e mollò a Tajani due schiaffi in pieno Transatlantico. Quel genere di «medagliette» che deliziavano il direttore Montanelli.
Forse all’oscuro di una massima di Henry Kissinger, «journalism is for boys», Tajani però la recepì alla lettera e lasciò presto il giornalismo. La discesa in campo del Cavaliere lo vide infatti tra i fondatori di Forza Italia nel 1994. Tajani fu portavoce del presidente del Consiglio nel primo governo Berlusconi. Ma sin dall’inizio, a parte qualche tentativo mal riuscito di provarci in Italia come la candidatura a sindaco di Roma nel 2001 contro Walter Veltroni, l’Europa è stata il luogo centrale della sua battaglia e dei suoi interessi.
Eletto all’Europarlamento nel 1994, confermato nel 1999 e nel 2004, Tajani fu nominato Commissario europeo nel 2008, in sostituzione di Franco Frattini. Nella Commissione Barroso è stato prima responsabile dei Trasporti e del turismo, poi dell’Industria. Fu lui l’artefice del regolamento comunitario, che oggi tutela i diritti dei passeggeri nel trasporto aereo, grazie al quale se in qualsiasi aeroporto della Ue ci cancellano un volo o si accumula troppo ritardo abbiamo diritto a essere rimborsati. Quando lasciò l’incarico, nel 2014, si concesse un gesto populista, ma molto apprezzato: rinunciò ai 468 mila euro dell’indennità di fine mandato.
In Europa, il legame con Berlusconi è stata un’arma a doppio taglio per Tajani, spesso costretto a gettare acqua sulle sue gaffe incendiarie, a cominciare da quando Berlusconi paragonò a un kapò proprio Martin Schulz, l’uomo di cui ieri Tajani ha preso il posto. E se al tycoon di Arcore deve sicuramente le sue promozioni, non sono affatto minori i crediti politici che il nuovo presidente dell’Europarlamento può rivendicare nei confronti dell’ex premier. Come il complesso lavoro di mediazione con la Cdu di Helmut Kohl, che Tajani svolse nel 1997-98 per condurre Forza Italia nel Partito popolare europeo, consentendogli di ancorarsi alla tradizione cristiano-democratica.
Ancora più importante, nell’inverno dello scontento tra Italia e Germania del 2011-2012, quando l’incomprensione più totale cadde tra Silvio Berlusconi e Angela Merkel, con corollario di insulti e battutacce verso la cancelliera, fu proprio Tajani a tenere aperti i contatti, l’unico ponte rimasto tra la Cdu e Forza Italia. Un merito sempre riconosciutogli da Manfred Weber, potente capo dei deputati popolari a Strasburgo, decisivo nelle scorse settimane nell’unire il variegato gruppo Ppe dietro la candidatura dell’italiano.
Non sarà un presidente carismatico Tajani. Non può e non vuole esserlo. Promette di essere lo «speaker» della linea scelta dal Parlamento. Dove le priorità sono «lotta al terrorismo, immigrazione, crescita, clima e energia». «Sarò il garante delle decisioni dei deputati europei», ha detto dopo l’elezione. Vuole anche ridurre i membri del gabinetto e dividerne i posti equamente tra uomini e donne.