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 2017  gennaio 17 Martedì calendario

Paolo Bonolis: «Il varietà è morto? Diagnosi sbagliata. È vivo perché la vita stessa è varietà»

Quiz a parte, era parecchio che Paolo Bonolis non si confrontava con un nuovo programma. Non adatta a sé format altrui, ma li crea. Music, la sua ultima creatura, ha debuttato la settimana scorsa su Canale 5 (le altre puntate domani e il 25 gennaio) facendo il botto: 21% medio di share, un po’ meno di 4,7 milioni di spettatori medi, con punte di 6 milioni. 
Merito della novità della formula o dell’eccezionalità dell’evento?
«L’eccezionalità accende la curiosità. In tv come in qualunque circostanza della vita. Non esiste formula magica. Ma se ciò che racconti ti appartiene riesci a dirlo meglio. Ecco: Music mi appartiene al 95%. Racconto una parte di me che conosco bene. Anche per questo appaio in tv sempre meno: sono sempre meno le cose davvero mie che mi restano da raccontare». 
Recensendo «Music», Alessandra Comazzi su la Stampa ha parlato di un suo preciso e personalissimo senso del varietà. Fatto dalle emozioni generate da parole e musica?
«Abbiamo pensato che fosse interessante chiedere quale fosse la canzone della vita a chi ci ha dato le canzoni della nostra vita. Fargli spiegare le ragioni, poi fargliela eseguire. È una richiesta di profonda intimità: ti devi scoprire con uno sconosciuto davanti a una platea enorme. Il contorno deve essere godibile. Ma le parole non si devono perdere nel mare magnum del superfluo, che diluisce». 
Insomma densità.
«Che non è necessariamente sinonimo di cupezza. Si vive anche di leggerezza. Quella di un Italo Calvino, per esempio».
Si può dire che «Music» è «Il senso della vita» più maturo?
«Direi piuttosto che ne è la declinazione in musica». 
Tutti parlano sempre di un Bonolis colto e di uno trash. C’è differenza tra quello di «Ciao Darwin» e quello di «Music»?
«Come la Luna e il suo lato oscuro. In Darwin colgo il senso del grottesco intorno a me. Attenzione, però: è più difficile fare Darwin, perché devi dare corpo alla vacuità. Mentre in Music il corpo c’è già, sono gli ospiti. In ogni caso l’importante è la leggerezza». 
Quanta leggerezza c’è in lei?
«Mi prendo molto poco sul serio. È un ottimo antidoto all’avanzare del tempo e alle assurdità dell’esistenza».
C’è qualcosa per cui vale la pena essere serio?
«Non transigo nel rispetto dell’impegno preso: ogni patto va rispettato. Affettivo, professionale, amicale. Ho fatto un patto con il pubblico e con quelli con cui lavoro: dare sempre il massimo».
Si era detto che il varietà era morto, ucciso da talent e reality. E invece in questa stagione assistiamo alla sua resurrezione.
«Era una diagnosi sbagliata. È vivo perché la vita con i suoi tanti aspetti è varietà. Quanto ai talent, del varietà sono solo uno spin off con regole precise e in un ambito ristretto. Sono una Corrida seria. Come diceva Giovan Battista Vico: corsi e ricorsi storici».
Scusi la divagazione: che studi ha fatto?
«Liceo classico, Legge per un po’ e poi sono passato a Scienze politiche, indirizzo Politica internazionale. Avrei dovuto seguire la carriera diplomatica. La tv ha salvato tutti dai disastri che avrei potuto fare». 
Il varietà cambia e gode di ottima salute. Anche la tv generalista. Ma i conduttori sono sempre quelli.
«Conti, De Filippi, Scotti e io siamo l’ultima generazione cresciuta con la tv. I giovani venuti dopo hanno avuto altri veicoli comunicativi a modello. Alla tv arriveranno, ma non avendo lo stesso afflato: per loro è obsoleta rispetto alla novità dei linguaggi con cui si sono formati». 
Parlando di eterni ritorni: lei l’ha fatto, cosa pensa di Sanremo?
«Che per quanto si faccia è sempre quello. È una multiproprietà, una casa in subaffitto. Puoi anche arredarla con cose tue. Ma alla fine prevale la sua storia, indipendentemente da chi la abita». 
Domenica su Canale 5 è ripreso «Avanti un altro!», giunto alla sesta stagione. Si può dire che i quiz siano una specie di valvola di sfogo al suo istrionismo?
«Dei quiz amo la possibilità che mi danno di incontrare gente diversa. E sì, anche di esprimere la mia cialtroneria. È questo che voleva dire?».