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 2017  gennaio 17 Martedì calendario

Spagna, torna la fiesta ma per un anno di lavoro si viene assunti 40 volte

MADRID Luis fuma una sigaretta. Cuoco, 25 anni. Aspetta il suo turno, seduto sul gradino esterno del centro per l’impiego di Paseo de las Acacias, Madrid. L’aria è gelida e fetida di smog. «Mi serve il timbro per la disoccupazione, questa settimana è la seconda volta che vengo», spiega intirizzito. «Ho lavorato lo scorso weekend. Poi fermo un giorno. Due in un altro ristorante. Di nuovo fermo. Ma tra qualche settimana parto, vado in Turchia da uno chef che conosco». Sorride Sandra, 27 anni e un piccolo piercing all’orecchio: «Faccio l’attrice di teatro, ma lavoro solo dieci mesi all’anno e copro gennaio e febbraio col sussidio». Incrocia per un attimo lo sguardo triste di Maite, 58 anni, esperta fiscale, senza posto da quattro anni: «Anche oggi nessuna offerta».
Benvenuti nella nuova Spagna. Fuori dalla crisi, dopo un anno senza governo e tre elezioni, ma stellare per l’economia, con mezzo milione di nuovi posti, 75 milioni di turisti, record assoluto, Pil su del 3,3%, produzione industriale da lepri. I cantieri ripartono, negozi pieni, persino il mattone torna a ballare. Al punto che le quattro torri al nord di Madrid – super grattacieli sedi di banche, assicurazioni e ambasciate – presto saranno affiancate dalla quinta, la cui costruzione fu bloccata dalla crisi nel 2010. Eppure, nonostante tutto, senza voucher italiani né mini jobs tedeschi, la precarietà dilaga. E chi è espulso dal mercato del lavoro non vi rientra più.
Contratti brevissimi, frequenti, spesso mal pagati. Ma regolari: ferie, malattie, maternità, contributi, disoccupazione. Flessibilità all’ennesima potenza, esplosa anche grazie alla riforma Rajoy del 2010: licenziamenti facili e poco costosi. «Avevamo 6 milioni di disoccupati ora siamo a 3,7», tiene il conto Miguel, mentre ascolta alla radio del suo taxi il premier Rajoy rassicurare che la Spagna è ripartita, ma ha perso dieci punti di Pil nella crisi. «Non torneremo più come prima, quando ti potevi comprare casa e macchina insieme». Il tasso di disoccupazione è ancora al 19% (dopo il picco del 27% nel 2013), quello giovanile al 43%. Non c’è da stare allegri. Nel mese di dicembre su un milione e 700 mila nuovi contratti, quelli stabili sono appena 122 mila.
Mentre Luis aspetta il timbro, a dieci minuti di bus, in calle Moreno Nieto, alle spalle dell’Almudena, suoi coetanei sorseggiano cappuccini nei bicchieroni di carta, chini su portatili ultra sottili. “Non sognare il successo. Svegliati e lavoraci”, si legge sulle pareti colorate da murales. Nell’ex magazzino dai mattoncini rossi e tetto spiovente, Google nel 2015 ha inaugurato il suo sesto Campus, dopo Londra, San Paolo, Seul, Tel Aviv, Varsavia. Incubatore di start up, fabbrica di idee, luogo di incontri speciali. Perché Madrid? «Perché qui c’è molto potenziale tecnico, noi creiamo l’ecosistema», spiega Sofia Benjumea, responsabile del Campus. Oltre 24 mila membri, 37% donne, più di un terzo over 40. William, 33 anni, pensa che i giovani spagnoli siano molto qualificati, ma «non sanno affrontare i colloqui e quindi le imprese non trovano chi cercano». Un problema che la sua startup Hoonter, nata al Campus, prova a risolvere.
Il mismatch tra domanda e offerta è l’altra faccia della precarietà. Diego, 32 anni, gestisce da quasi quattro anni un ristorantino a Malasaña, il quartiere amato da Almodovar. E da due non riesce a trovare un secondo cuoco: «Mi chiedono 2 mila euro netti, troppo se sei alle prime armi. Io qui faccio contratti di tre mesi e sarei pronto a confermarli. Ma i ragazzi lasciano per guadagnare di più». Il rischio di un mercato così frammentato è la bassa qualificazione professionale.
«Conseguenza di un’occupazione che si crea e si distrugge in modo molto rapido», conferma Jesús Cruz Villalón, giuslavorista. «Nel 2016 si sono registrati 20 milioni di contratti per mezzo milione di posti. Significa che un impiego continuo corrisponde a 40 contratti. Molti ne fanno almeno 20 l’anno. Con la crisi sono esplosi quelli molto brevi, da una settimana. Gli abusi sono evidenti». Lo conferma Valentina, ingegnere di 31 anni, salernitana, a Madrid dal 2011. Ora lavora per una multinazionale americana nel marketing online, assunta a tempo indeterminato. «Nei primi due anni, ho fatto di tutto: commessa, promoter, traduttrice, tester. Sempre contratti regolari, altro che voucher: 23 giorni, 26 giorni, due mesi, tre mesi. Il nero l’ho conosciuto solo una volta: in una pizzeria italiana». A parti invertite, José, storico dell’arte madrileno, 28 anni, finito a Udine per amore nel 2011, lavora in bar e ristoranti. Sempre in nero. «Da qualche tempo hanno cominciato a pagarmi una parte in voucher. Quando torno a Madrid racconto sempre ai miei amici che ormai dal tabaccaio ci vado per prendere le sigarette e lo stipendio. Non mi credono, gli ho mostrato i ticket».