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 2017  gennaio 17 Martedì calendario

Strappo di De Luca. Un movimento (a sua immagine) per difendersi dal Pd

Il ritorno di Renzi, la resa dei conti congressuale, le prossime elezioni. Nel Pd, per Vincenzo De Luca, butta una cattiva aria. E non solo per lui, per la verità, se è vero che una nuova legge elettorale proporzionale potrebbe riaprire il conflitto tra centro e periferia del partito. Tra leadership nazionale e cacicchi sopravvissuti al logorio della vita politica. In ogni caso, il governatore campano è il primo a mettere le mani avanti e, con la convocazione di un suo movimento personale, a prevedere un possibile atterraggio di fortuna. Teme che il Pd possa smettere di sostenerlo nella sua cavalcata solitaria in Regione o di tollerarlo per le continue sparate mediatiche. L’ultima scivolata, quella ai danni dei medici responsabili dell’ospedale di Nola, da altri definiti eroi e da lui indicati invece per il licenziamento in tronco, ha lasciato il segno anche tra gli stessi democrat. Quasi come l’infelice battuta sulle fritture di pesce (da offrire in cambio di voti) scappatagli in piena campagna referendaria e sulla quale ancora indaga la magistratura. Magra consolazione, poi, il fatto che nell’ultima classifica sulla governance territoriale del Sole 24 Ore, De Luca guadagni meno di un punto in percentuale rispetto all’anno scorso: primo, perché comunque continua ad affannare dietro i colleghi della Basilicata, della Puglia e del Molise, solo per restare al Pd e al Sud; e secondo, perché tra i sindaci va invece benissimo, balzando addirittura tra i primi dieci, il diretto concorrente del Pd in Campania, quel de Magistris che ha fatto dell’antirenzismo la sua bandiera. Dove sarebbe l’effetto De Luca?
Appuntamento ad Afragola, allora. Proprio per prevenire l’obiezione. Siamo in piena area metropolitana di Napoli, nella città natale dell’ex governatore Antonio Bassolino e ora feudo elettorale di Tommaso Casillo, consigliere regionale deluchiano e segretario generale del movimento «Campania libera». Lui ha tessuto la rete, ma la regia è tutta del governatore, che tra l’altro l’ha già sperimentata a Salerno, dove, tranne che nel lontano ’93, è sempre stato eletto e rieletto sindaco grazie a un movimento personale. Spesso anche in aperta concorrenza elettorale con il partito di origine. In sala ci sono ex di Italia dei Valori, ex di Scelta civica, ex del Nuovo centrodestra. Ed anche Luigi Bosco, consigliere per il quale i pm hanno appena richiesto un rinvio a giudizio. «Questo movimento serve per stare vicino alla gente che non si riconosce nei partiti», dice il governatore. E ancora: «Dobbiamo procedere a carrarmato per uscire dallo sfascio che ci hanno consegnato». Gli obiettivi? Lavoro, lavoro, lavoro.
Dopo l’esito disastroso del voto di dicembre, De Luca ha già respinto infastidito l’allusione della segretaria regionale Pd, Assunta Tartaglione, alla «fine della luna di miele» tra il governatore e gli elettori. Ma ora il clima interno al partito è addirittura peggiorato. Tutto infatti induce a credere che Renzi, dopo averlo scelto come uomo di punta nel Sud, e dopo averlo sostenuto con patti istituzionali e cospicui a trasferimenti di fondi pubblici, di De Luca non voglia più saperne. Ancora poche ore prima dell’esito referendario, gli aveva fatto scudo: «De Luca parla troppo, è vero, ma ad averne amministratori come lui...». Domenica, invece, la rottura clamorosa. «Non si cambia il Sud – dice Renzi a Repubblica – poggiando solo sul notabilato. Idee nuove e amministratori vecchi? Sbagliato, non funziona. Togliere le ecoballe è importante, ci mancherebbe. Ma più ancora aprire il Pd a facce nuove. Voglio farlo». Manca solo il nome. Ma che sia un attacco a De Luca è indubbio. Le parole chiare sono: Sud, notabilato, ecoballe, facce nuove. E per ognuna di esse il rimando al governatore è evidente: addirittura c’è il riferimento all’emergenza rifiuti, che è stata solo campana. Cos’altro doveva aggiungere, Renzi, perché De Luca intendesse?
Quel che poi non ha detto, il segretario nazionale si appresta a farlo. Deluso dai governatori, punterà ora sui sindaci. E per la direzione pd già si fanno i nomi di Ciro Bonajuto, di Ercolano e di Giuseppe Falcomatà, di Reggio Calabria. Saranno loro i «lanciafiamme» da opporre ai vecchi carrarmati.