Corriere Economia, 16 gennaio 2017
Le regole aiutano, ma non creano lavoro e crescita
Siamo un Paese dalla forte connotazione giuridica. Individuati come problemi maggiori del Paese la crescita e il lavoro, la cosa che sappiamo fare molto bene è concentrarsi sulle leggi e non sull’oggetto delle medesime norme. L’esempio macroscopico è rappresentato da Jobs act e voucher. Il tema che sembra appassionarci non è come si crea lavoro, ma come questo vada regolato. È evidente che le norme sono importanti. La crescita tedesca poggia fortemente su quelle riforme avviate nel 2003 con lo scambio sindacati-governo, tra incrementi di produttività, salari e aumento dell’occupazione. La Germania, che sta registrando in questi mesi una crescita più che doppia della media europea, ha sicuramente goduto di quelle regole che hanno permesso la diffusione dei cosiddetti «mini job». Norme che hanno spinto le piccole e medie imprese verso l’innovazione, verso l’uso massiccio dell’automazione e della tecnologia proprio per usufruire di quelle norme che garantivano massima flessibilità e basso costo del lavoro. Ma alla base c’era il forte intendimento di tutte le parti coinvolte che la Germania non poteva essere considerata, come era allora, il malato d’Europa. E il convincimento che doveva innovare se stessa e la sua economia. Il risultato è che oggi la Germania è il maggior Paese manifatturiero d’Europa con una quota del 22% sul prodotto totale, l’Italia non è molto indietro: è al 16%. Il problema è che la manifattura a bassa tecnologia pesa in Italia per il 33%, in Spagna per il 37%, in Francia solo per il 30% e appena il 18% in Germania. Le regole sono, sicuramente, figlie di scelte politiche, di linee di sviluppo, di principi. Ma da inscrivere nel percorso di un Paese che ha scelto la direzione da seguire. Un esempio per tutti: quanto siamo consapevoli della necessità di disporre di grandi aziende in grado di trainare con sé in termini di prodotto, di innovazione e competitività, la filiera del valore delle piccole e medie imprese?