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 2017  gennaio 12 Giovedì calendario

Barcellona, crisi d’identità. «Non c’è più un progetto»

AFFONDANDO la lama o il tackle, sarà proprio Verratti, vestito da medico, martire o carnefice, a verificare sul campo (dove la menzogna ha sempre vita breve) l’identità di quest’inedito Barcellona che «si allontana da se stesso», sganciato dalla filosofia del padre fondatore Johann Crujiff. Accadrà negli ottavi di Champions. Manca più di un mese. Ma se il Barcellona è veramente malato, un mese vola e il Psg può prendersi la rivincita dei due quarti persi. In questo momento il Barça denuncia varie patologie e un solo antidoto: Messi. «Ormai ha rinunciato a seguire i maestri. Vilanova e Tata Martino tenevano ancora la barra dritta, poi è iniziato il lento naufragio. Anche se segnano quei tre, il Barcellona che conoscevamo non esiste più», scrivono i bloggers contro il Mundodeportivo.
Morto Cruijff, è come se il Barcellona avesse smesso di credere nella sua stessa storia. Un acquisto sbagliato dopo l’altro (Turan, Vidal, Umtiti, Gomes, Alcacer), una fantasia milionaria dopo l’altra («nel 2017 fattureremo 1 mld di euro», è stata la promessa fuori luogo del presidente Bartomeu davanti all’albero di Natale) e il quadro cambia: «Hanno cominciato a strappare le pagine più importanti del libretto delle istruzioni!». Quelle in cui c’era scritto come seguire la strada per diventare “mes que un club”. Ora gli scontenti che non vedono alcun futuro con Bartomeu e Luis Enrique, scrivono con ben altro spirito: «Mes o menos que un club».
I punti sono solo 35 in 17 partite, il Real è sopra di 5: mai così male dal 2008. E non è un problema di vittorie o di sconfitte. È un problema etico e di personalità, di relazioni umane e di crisi societaria che già da anni si è manifestata con la clamorosa involuzione della Masia: «Tutti i tecnici che avevano costruito il mito della “cantera” blaugrana sono stati mandati via. Erano stati loro a creare la generazione degli Xavi, dei Piqué, degli Iniesta, dei Busquets, dei Messi, dei Fabregas. Loro non volevano vincere ma creare campioni. Ora pensano solo a vincere». I tecnici che inventarono la Masia da cui attinse un altro “canterano” come Pep Guardiola, vincendo tutto, adesso li troviamo in giro per l’Europa, in Messico, in Paraguay, in Cina. In una rosa senza “giovani canterani” come quella attuale sfilano inadeguati (Gomes, Alcacer, Mathieu, Digne) ed eroi stanchi (Mascherano e Piqué).
Il Barça non avrebbe mai immaginato di dover rimpiangere così tanto Pedro. Persino Alves. Il «menos que un club» è il Barcellona “sbagliato” che per vincere il titolo lo scorso anno ha aspettato che Messi e Suarez facessero la differenza. Ossia ha dovuto di colpo trasformarsi in una squadra di “galacticos” senza averne l’istinto. Per mesi il Barça è stato: «Palla all’argentino!». Ieri ennesima punizione decisiva in Copa del Rey contro il Bilbao per passare il turno (3-1). Ma così addio gruppo, addio armonie, addio Cruijff, addio Guardiola. Messi è l’ultima password per il paradiso, l’ultimo corpo estraneo alle dinamiche del Barcellona “sbagliato”. Perché se il Real è cinico da sempre e da sempre ostenta sdegnoso lo speculare (in contropiede) sulla propria grandezza, quando il Barcellona cambia natura e si “madridizza” il mondo “culès” reagisce scomposto perché non vede più alcun “gioco” né poesia. Vede solo Messi. Gli basta ma non gli basta. I fasti si sviliscono in fatti: Enrique non è all’altezza e non ha contatti verbali né (pare) visivi con Iniesta, Rakitic, Messi, Suarez, Neymar, i quali decidono da soli, nemmeno loro più così convinti, così amici. La protesta contro gli arbitri è definita «surreale». Come lo è la Masia di oggi. A molti la vecchia cantera sembra quasi un negozio.