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 2017  gennaio 12 Giovedì calendario

La strana coppia. Quando Montale e Bene si fingevano amici

Per alcune estati frequentarono la stessa casa a Forte dei Marmi S’incontravano e parlavano amabilmente Poi in privato si davano del guitto e del cattivo letterato Storia del dietro le quinte di un’amicizia tra poesia, genialità ed eccessi La vita di Montale non è stata di per sé interessante, anzi, se vogliamo, è spesso stata grigia e monotona, eppure non smette d’essere raccontata in ogni sua minima piega e con una costanza e una attenzione che pochi altri letterati del nostro tempo hanno suscitato. Merito, indubbiamente, della sua poesia che compensa in modo vistoso quell’aver vissuto, come scrisse, al cinque per cento e anzi eccita lo scrutinio d’ogni sua mossa. Recente è il Montale di Enrico Testa (Le Monnier) che con grande scioltezza e competenza ripercorre e racconta vita e poesia nelle canoniche stazioni che vedono succedersi Genova e la Liguria e poi gli anni fiorentini, Milano, la gloria e la vecchiaia. Stazioni scandite, appunto, dalle rare raccolte, Ossi di seppia, Le occasioni, La bufera e altro e poi Satura.
Il raccordo tra poesia e accadimento reale è però pieno di inciampi, di depistaggi e di contraddizioni. Il fascino della sua poesia sta anche nell’oscurità del dettato. Anche la semplice ricognizione anagrafica delle ispiratrici di Montale non sempre è facile e riconducibile a dati reali. Anna degli Uberti, per esempio, conosciuta a Monterosso e trasfigurata in Arletta, Annetta e Capinera, era stata di fatto considerata morta dal poeta, scrive Testa citando Dante Isella, dopo che il distacco tra loro divenne definitivo. In realtà Anna degli Uberti sarebbe morta nel ’59.
Non so se è stato un caso, ma proprio nei giorni in cui leggevo il libro di Testa è spuntato un Montale par lui- même che è la raccolta integrale di tutto quanto Montale stesso ha scritto o detto di sé: infatti il volume ha un sottotitolo: Interviste, confessioni, autocommenti 1920- 1981: insomma uno strumento utilissimo molto ben curato da Francesca Castellano per la Società Editrice Fiorentina. Non avevo ancora finito di leggere il libro della Castellano che mi arrivava un volumetto di Antonio Giusti pieno di personaggi incontrati dall’autore intitolato Memorie scompagnate (Apice libri) con in copertina Montale accanto a Carmelo Bene. Antonio Giusti è un industriale: lui e sua moglie Susi hanno una villa a Forte dei Marmi nella quale Montale ha trascorso diverse estati. Nella fotobiografia di Montale curata tanti anni fa da Franco Contorbia, ci sono foto del poeta con i suoi ospiti. Non sapevo che nella stessa casa incrociava anche Carmelo Bene con sua moglie Lydia Mancinelli.
Racconta Giusti che in privato Bene parlava male di Montale sostenendo che non era un vero poeta e Montale parlava male dell’attore dicendo che era un guitto o addirittura un delinquente abituale. Poi, trovandosi insieme, discutevano e sembravano addirittura andare d’accordo. Carmelo Bene aveva deciso che l’unico poeta del Novecento era Dino Campana. Per provocarlo qualcuno recitava un verso di Montale e Bene recitava subito il resto con la sua voce profonda e inconfondibile. Sapeva molto Montale a memoria. Comunque durante la vacanza si incontravano poco perché Montale andava a letto alle undici, mentre Bene stava alzato tutta la notte bevendo molto e coinvolgendo chi c’era nelle sue recite shakespeariane. Una sera aveva sedotto una ragazza alla quale recitava parole d’amore suscitando la rabbia della moglie che a un certo punto gli era balzata addosso staccandogli con un morso un lobo dell’orecchio. Sangue, urla, pentimento di lei e via di corsa al pronto soccorso dove invano cercava di far passare Carmelo avanti a tutti con la scusa che era un genio… La mattina dopo Montale si era alzato verso le dieci come al solito e non sapeva nulla del trambusto notturno, durante il quale si era anche rotto un lume. Tutto fu attribuito al gatto. Anche la vistosa fasciatura dell’attore. E Montale che certo aveva intuito e subito aveva notato la mancanza del lume finse di crederci con la sua aria sorniona e per tutta l’estate dette la colpa al gatto di qualunque cosa accadeva, anche molto lontano da lì.
Aveva, Montale, il senso del comico. Giusti, che lo aveva accompagnato, racconta un Montale che va al seggio per votare e si finge del tutto incompetente, facendosi spiegare ogni cosa dal presidente. Una vera farsa. Ma torniamo al Forte, luogo per Montale di lunghe villeggiature e non solo in casa Giusti, dove per altro ebbe anche l’occasione di conversare con Carla Fracci e con Henry Moore. Ma guai se arrivavano scocciatori che volevano intrattenerlo sulla poesia o sulla letteratura… Montale spariva, era indisposto e non c’era verso di stanarlo. Giusti parla di una poetessa di Milano (che non nomina) molto affabile e capace di introdursi in casa con una sua amica al solo scopo di parlare con Montale. In realtà parlavano da sole, perché lui restava in silenzio e fumava una Jubek, muovendo le labbra come in un tic. Una volta, ricorda sempre Antonio Giusti, suonò il campanello e una voce disse semplicemente: «Sono Esterina, vorrei vedere Eusebio». Giusti corse ad aprire e gli apparve una signora anziana, magra, eretta, vestita di nero. Esterina Rossi era stata immortalata da Montale in Falsetto, una celebre poesia degli Ossi di seppia in cui viene descritta, lei ventenne («Esterina, i vent’anni ti minacciano») mentre si tuffa agile nell’acqua. Non ho mai più potuto nascondere la mia età, scherzò lei una volta. Comunque Esterina fu subito accolta da Montale e rimase a colloquio con lui per diverse ore. In seguito Montale chiese di poter venire al Forte con Gina Tiozzi, la sua governante, che lo aiutava e lo proteggeva. A Susi Giusti Montale aveva confessato che ciò che amava di più era la monotonia di tutti i giorni.