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 2017  gennaio 12 Giovedì calendario

Dalle colf alle baby sitter il voucher dei francesi è una questione di donne

PARIGI. «Sarà una rivoluzione» aveva predetto il ministro del Lavoro dell’epoca Jean-Louis Borloo presentando per la prima volta il funzionamento degli “chèque emploi-service universel” (Cesu). Era il 2005. L’allora governo di destra varava la riforma per pagare, senza stipulare un contratto di lavoro e con un unico “assegno”, sia salario che contributi nel caso di servizi alla persona. Dunque baby-sitter, addetti alle pulizie, badanti, ripetizioni private, ma anche giardinaggio, corsi di informatica, interventi di bricolage. All’epoca non ci furono polemiche, neppure dai sindacati, forse perché questo tipo di voucher è riservato ai privati cittadini, e non ad aziende o enti.
Dieci anni dopo, più di 1,3 milioni di famiglie hanno preso l’abitudine di ritirare i “chèque emploi” in banca per poi dichiarare le ore pagate a una colf: questo utilizzo rappresenta un terzo degli impieghi. «È uno strumento nato per combattere il lavoro nero in un settore dove era storicamente molto alto», racconta Adrien Gauthier, responsabile della comunicazione al Cesu. Il metodo per convincere i cittadini a dichiarare allo Stato pagamenti di lavoratori domestici è semplice. «Facciamo l’esempio di qualcuno che utilizza 10 ore di baby-sitting in un mese – spiega Gauthier- con i chèque emploi il datore di lavoro pagherà il prezzo concordato, mettiamo 10 euro l’ora. Poi dovrà aggiungere 70 euro di contributi». In Francia, i prelievi per sanità, sussidio di disoccupazione, pensione sono più alti che in altri paesi. «Ma per 170 euro versati – prosegue il responsabile del Cesu – la metà sarà detraibile nella dichiarazione dei redditi. Quindi alla fine – conclude – ci sarà un risparmio di 15 euro rispetto a un pagamento non dichiarato. E tutto è fattibile con una procedura rapida e anche online».
Il ragionamento non fa una piega. E infatti la riforma del ministro Borloo ha fatto emergere una parte di lavoro sommerso: basti pensare che a metà degli anni Novanta i lavoratori dichiarati nel settore dei servizi alla persona erano appena 9 mila. Vent’anni dopo, grazie all’esistenza del Cesu, sono almeno 640 mila. «Secondo i nostri studi la parte del lavoro nero nel lavoro domestico è scesa di metà, dal 50 al 25%» osserva Gauthier. Una parte di sommerso dunque resta. «Purtroppo una parte di cittadini non conosce bene ancora lo strumento dei chèque emploi: teme che comporti più spese e più burocrazia», commenta Gauthier. C’è anche un altro dato che pesa a livello economico: il versamento dei contributi è immediato mentre il vantaggio fiscale avviene con il pagamento delle tasse l’anno successivo.
Non ci sono solo luci. Molti esperti denunciano l’utilizzo quasi esclusivo di questo strumento per un precariato femminile: gli assegni versati al Cesu sono all’80% per donne con un’età media di 48 anni. Ogni lavoratrice con voucher ha almeno 2 datori di lavoro, pari a 350 ore e un salario annuo di 3809 lordi, molto al di sotto dei minimi sociali. L’economista Florence Jany-Catrice parla di “lavoro liquido”. «Si tratta di impieghi particolarmente volatili, spesso stagionali o con part-time molto ridotti, e un forte turnover», sottolinea Jany-Catrice. Esistono anche abusi. «Nel caso di un rapporto regolare e continuativo il Cesu non dovrebbe essere applicato ma serve un vero contratto di lavoro» precisa l’economista. La legge prevede un limite di retribuzione con voucher fino a un massimo di 15mila euro annui.
Spesso sono i lavoratori a rinunciare: al di là di una certa soglia di reddito dichiarato c’è il rischio di perdere molti sussidi pubblici. Durante l’ultimo forum dei servizi alla persona le imprese del settore hanno spiegato che quasi metà delle offerte rimane senza candidati: ci sarebbero almeno 100mila posti vacanti. Spesso si predilige un accordo diretto con le famiglie, con un “mix” di ore tra nero e dichiarato al Cesu. Una zona “grigia” aumentata negli ultimi anni a causa dei cambi normativi. Gli sgravi fiscali per dedurre il 50% dei voucher sulla dichiarazione dei redditi sono ancora vigenti, ma sono aumentati i contributi da versare e l’Iva è passata dal 5,5 al 7%. “Tra il 2010 e il 2013 il costo dei chèque emploi è aumentato del 12%” riassume Anne-Adelaide Séguy, presidente della federazione dei cittadini datori di lavoro, che da tempo milita per un ritorno alle condizioni del passato. Le conseguenze negative dei cambi fiscali e normative sono state infatti immediate: per il terzo anno consecutivo, nel 2016 le ore di lavoro dichiarate al Cesu sono diminuite (-2,3%). In autunno il governo ha approvato un nuovo taglio sui contributi: da quest’anno il costo del chèque- emploi dovrebbe calare del 9%, tornando quasi ai vecchi valori.