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 2017  gennaio 12 Giovedì calendario

Coppia uccisa con l’ascia. Tra il figlio e l’amico un patto da mille euro

Pontelangorino (Ferrara) Un patto fra due adolescenti. Un accordo di amicizia e di morte. Riccardo Vincelli, 16 anni, e il suo amico del cuore Manuel, 17, hanno deciso che avrebbero ucciso i genitori di Riccardo sorprendendoli nel sonno, nella loro casa di Pontelangorino, una frazione di Codigoro. E l’hanno fatto.
Forse erano sotto l’effetto di droghe quando li hanno massacrati con un’accetta, nella notte fra lunedì e martedì, colpiti alla testa tutti e due: tre volte lui, che aveva 59 anni e si chiamava Salvatore, e sei volte lei che di anni ne aveva 45 e si chiamava Nunzia Di Gianni. Poi il tentativo maldestro di cancellare le tracce, far sparire i corpi, studiare una versione che reggesse. Tutto inutile. È bastato ascoltare le loro versioni pochi minuti perché i carabinieri del comando provinciale di Ferrara e il pubblico ministero Giuseppe Tittaferrante capissero che nel racconto di quei due c’erano troppe cose che non tornavano.
Gli inquirenti hanno insistito con le domande, hanno messo a confronto le risposte, hanno contestato un punto dopo l’altro e alla fine – ieri all’alba – Riccardo e Manuel hanno confessato. L’accusa è omicidio volontario aggravato premeditato. Movente: «Dissapori, neanche tanto datati, fra il figlio delle vittime e i suoi genitori», dicono dalla procura dei minori di Bologna alla quale è passato il caso (pm Silvia Marzocchi) da quando le indagini non sono più state a carico di ignoti, ma di minorenni. Riccardo odiava soprattutto sua madre, dalla quale si era preso di recente una sgridata umiliante davanti al suo insegnante e vicepreside che aveva chiamato la donna per dirle quanto poco suo figlio si impegnasse a scuola.
Salvatore e Nunzia sono stati colti nel sonno fra le tre e le cinque. La sera di lunedì Manuel si era fermato a casa di Riccardo dicendo ai suoi genitori che avrebbe dormito lì. In realtà era uscito con la borsa da lavoro rossa di suo padre e l’intento di riempirla dei vestiti che avrebbe sporcato di sangue durante l’omicidio. Tutto premeditato. I due ragazzi hanno aspettato che i genitori di Riccardo dormissero, li hanno uccisi e poi hanno riempito il borsone dei vestiti e sono usciti a buttarlo in un canale mentre l’ascia l’hanno abbandonata vicino a un campo sportivo. Prima di lasciare la villetta del massacro hanno spostato i corpi, forse nel tentativo di portarli via per nasconderli (l’auto di famiglia aveva i sedili reclinati). Può darsi che non riuscendo a trasportarli fino all’auto li abbiano abbandonati l’uno in garage e l’altra vicino alla cucina, dove sono stati trovati. Tutti e due avevano in testa un sacchetto nero della spazzatura legato con lo scotch sul collo: non è chiaro se per evitare strisce di sangue mentre li trascinavano o se perché Riccardo abbia preferito non vedere in faccia i genitori morenti o morti. A colpirli sembra sia stato Manuel: non si sa se Riccardo fosse accanto a lui. Si sa invece che il figlio delle vittime ha offerto all’amico dei soldi per farsi aiutare nel duplice omicidio: 80 euro di anticipo e poi almeno mille a «lavoro» finito (poi trovati a casa di Manuel).
Conclusa la mattanza sono andati con lo scooter di Riccardo a casa di Manuel alle 5.30 del mattino. «Era bianco come un cencio» dice suo padre. «Ci ha detto che aveva la febbre e che Riccardo lo aveva accompagnato e si sarebbe fermato a dormire da noi». Martedì hanno pranzato da Manuel, sembrava un giorno come tanti. Era l’inizio della loro fine.

***

Il bullo e il timido. Lo sbruffone con il telefonino di ultima generazione e il debole con pochi euro in tasca. Nel mezzo l’amicizia asimmetrica di sempre, con Manuel che adorava Riccardo più di quanto Riccardo adorasse lui. Al punto da uccidere per lui.
«Ti do quello che vuoi. Soldi quanti ne vuoi, se mi aiuti a fare questa cosa». E per l’amico della vita Manuel è diventato un assassino. Non soltanto perché era accanto a Riccardo mentre i suoi genitori morivano o perché ha pianificato tutto assieme a lui. No. È andato oltre: sarebbe stato proprio Manuel a impugnare l’ascia, lui a colpire Nunzia e Salvatore.
Suo padre non lo sospetta nemmeno mentre, alle sette di sera, davanti al cancello di casa ripete che «Manuel è un buono, che ci crediate o no. Si è fatto lusingare dai soldi ed erano davvero tanti. I carabinieri li hanno trovati qui a casa, nascosti in un angolo. Un portafoglio gonfio di soldi».
Quest’uomo che trema ed è sul punto di piangere ogni volta che pronuncia il nome del figlio, racconta della sua notte nera come la pece, in caserma. «Mi hanno tenuto lì ore e ore, poi alle sette del mattino mi hanno detto che Manuel aveva confessato e me l’hanno fatto incontrare un attimo, gli ho dato uno schiaffone. Era distrutto che non sembrava neanche lui, mi ha detto “papà, perdonami”».
Fa freddissimo, in quest’angolo di mondo alle spalle del Delta del Po. Il padre di Manuel si stringe in un pullover, guarda sua moglie. «Adesso la nostra paura è che si uccida», dice. «Io nella vita ho sempre solo lavorato, ho tre figli e uno è disabile, il destino è già stato duro con noi... Quando ci siamo salutati, in caserma, gli ho detto: io ci sarò sempre, non ti abbandonerò mai».
L’ha visto infilare la porta e scomparire. Suo figlio, un assassino, «che cosa enorme», ripete a se stesso. 
Comunque sia andata nella villetta del massacro, gli assassini in questa storia sono due, anche se davvero Riccardo non ha materialmente ucciso i genitori. Sono ragazzini che vivevano in simbiosi da quand’erano bambini, giura chiunque li conoscesse. Non c’era giorno che non fossero assieme da qualche parte. In piazza, a Codigoro, a Caprile, oppure in discoteca, in sella allo scooter di Riccardo o a bere un drink al bar di ritrovo della compagnia. «Si facevano spinelli su spinelli» osa raccontare qualcuno degli amici ormai ex. Una sfilza infinita di assenze a scuola, tutti e due.
Manuel un po’ introverso, modesto, Riccardo più sfrontato, sempre infilato in vestiti firmati, con soldi in tasca e fare da prepotente. Che non sopportasse sua madre, che avesse problemi con le regole che i genitori tentavano di imporgli, non era poi un gran segreto. Gli amici più stretti, perfino i genitori del suo quasi-fratello Manuel, sapevano. 
E lui non ne faceva mistero: il problema era la madre, soprattutto. Era il limite più grande fra lui e la sua libertà di fare tutto ciò che voleva, era il suo tormento continuo per la scuola che non andava granché bene. Era la voce dei rimproveri, dei divieti, del no alla vita facile e senza lavoro né studio che lui avrebbe voluto vivere.
Nella sua scuola, l’Istituto tecnico Iti di Codigoro, nessuno dei prof o dei bidelli lo ricorda come un ragazzo particolarmente turbolento. Svogliato sì, senza nessun desiderio di studiare. Piuttosto sognava corse in pista con moto fiammanti e caschi alla moda. E in tutti i suoi sogni, nelle sue pretese da ragazzetto viziato, nei suoi errori, trascinava l’amico di una vita, Manuel.
Lui, Manuel, era iscritto al terzo anno del Centro di formazione professionale Cesta di Codigoro: corso per operatore della pesca e acquacoltura. Studi pratici sulla manutenzione delle barche, delle reti, sulla biologia dell’acqua. Ma frequentava poco e il direttore della scuola aveva convocato più di una volta i genitori. 
Suo padre era sempre più preoccupato per quel figlio che dalla vita voleva troppo e dava in cambio troppo poco. Voleva il patentino per la moto, per esempio. Ma senza studiare, quindi l’hanno bocciato due volte ed è finita che niente moto: «Non posso spendere altri soldi» gli aveva spiegato il capofamiglia. «E siccome non ti impegni non avrai lo scooter, usa la bicicletta». 
Regole-base del buon padre di famiglia, sconosciute per lui e per l’amico fraterno che vivevano tutto questo come una continua, inutile punizione. Malgrado le tantissime assenze e proprio davanti alla preoccupazione di suo padre, la direzione della scuola di Manuel aveva chiuso un occhio. Il 30 gennaio avrebbe comunque cominciato uno stage di tre mesi che forse gli avrebbe dato un lavoro, uno stipendio. 
Forse. Se non avesse seguito la sua cattiva strada. Se per una volta avesse pensato più a suo padre che a Riccardo.