ItaliaOggi, 11 gennaio 2017
I tedeschi allo sportello coop
L’attacco di Vivendi a Mediaset fa scalpore. Sia perché si tratta di un’operazione ostile, cioè non concordata con l’azionista di riferimento, sia perché riguarda un tassello sensibile come la seconda tv nazionale, sia per l’identità dell’eventuale soccombente, Silvio Berlusconi. Ma sotto attacco c’è pure il sistema bancario, anche se col guanto di velluto e non quello di ferro. Unicredit, che è già guidato da un manager francese, Jean Pierre Mustier, è alle prese con un colossale aumento di 13 miliardi che potrebbero in parte essere sottoscritti dalla Sociètè Gènèrale (seconda banca francese, due volte e mezzo Unicredit, e seconda azionista di Generali) e comunque instradare la banca verso lidi stranieri. Il copione potrebbe essere quello di Fiat, risanamento e rilancio della presenza nazionale ma col cervello (o parte del cervello) oltre confine.
Se i francesi studiano l’affare-Unicredit, i tedeschi rispondono mettendo il cappello sulla Cassa Centrale Banca, presieduta da Giorgio Fracalossi, che vuole diventare l’holding delle casse di credito cooperativo e che s’è messa a battagliare con l’holding esistente, Federcasse, presieduta da Alessandro Azzi, spaccando in due il fronte di questo segmento non secondario del credito, formato da 314 banche con 4.000 sportelli, un milione di soci, 201 miliardi di raccolta e 135 miliardi di impieghi. Numeri importanti, nonostante la crisi abbia coinvolto anche questi istituti. Secondo un’analisi del responsabile della Vigilanza di Bankitalia, Carmelo Barbagallo, sono una cinquantina quelli in difficoltà «per la governance insufficiente dovuta alla scarsa dialettica nei consigli di amministrazione, per la presenza dei conflitti di interessi, per la scarsa lungimiranza delle scelte strategiche e la debolezza dei controlli interni».
Il boccone però è appetibile e quindi, di fronte alla legge di riordino promulgata dal governo Renzi e alla stretta di Bankitalia per mettere ordine nel sistema, è scoppiata una guerra. Non a caso ieri nella sede della federazione delle banche coop dell’Emilia-Romagna (14 istituti) è stata presentata l’aggregazione tra Emilbanca (Bologna) e Banco cooperativo (Reggio Emilia, una delle casse in sofferenza). Fa nascere la terza banca cooperativa italiana (4,7 miliardi di raccolta e 2,7 miliardi di impieghi) che corre a rafforzare il fronte di Federcasse contro quello di Cassa Banca. E sono volate parole grosse verso i contendenti, cancellando il volemose bene d’un tempo, che era tra l’altro in linea con la matrice per lo più cattolica di queste ex banche rurali (aderiscono a Confcooperative, la cosiddetta organizzazione bianca, contraltare della rossa Legacoop). Dice Secondo Ricci, vicepresidente regionale delle banche coop: «Sarebbe davvero una iattura la divisione del nostro mondo in due». Aggiunge Giuseppe Alai, figura storica dell’associazionismo cattolico emiliano e presidente del Banco cooperativo: «In questo tentativo di creare un’altra holding vedo conflitti d’interessi e manovre non chiare». Infine Giulio Magagni, presidente Emilbanca: «Sta avvenendo il contrario di quanto auspicato, la divisione in due holding creerà inefficienze e ci indebolisce». Più qualche accenno all’italianità da tutelare.
La nuova banca mette quindi il suo peso sul piatto della bilancia di Federcasse. Ma gli altri non stanno a guardare e annunciano di avere già raccolto oltre cento adesioni, tra le quali quella della potente ChiantiBanca, guidata da Lorenzo Bini Smaghi. Inoltre vi è stata la decisione della Banca coop di Cambiano di unirsi a Banca Agci (l’Agci è la terza componente del mondo cooperativo, un tempo legata a socialisti e repubblicani) e diventare società per azioni, quindi uscire dal mondo coop. È duro il giudizio del presidente della banca, Paolo Regini: «La voglia di tenere alta la bandiera dell’indipendenza è stata ed è la prima, ma non l’unica ragione che ha spinto la banca, avendo i requisiti necessari, e cioè un patrimonio superiore ai 200 mln, a scegliere la strada dell’autonomia rifiutando da subito di intrupparsi nel gruppo nazionale egemonizzato da Federcasse, che ridurrebbe la banca ad un ingranaggio privo di autonomia come parte di un meccanismo elefantiaco, costoso e penalizzante».
I tedeschi plaudono. La Cassa Banca è partecipata (al 25%) da Dz Bank, terza banca tedesca, quotata alla borsa di Francoforte, un gigante che raccoglie 96 miliardi e ha un utile netto superiore al miliardo. Dz Bank ha detto sì alla partecipazione alla ricapitalizzazione di 600 mln che consentirà l’operazione scissionista che, come sembra ormai probabile, è vicina al traguardo e avrà un patrimonio attorno a 1,5 miliardi, diventando il sesto gruppo bancario italiano. Ma portando una parte delle nostre casse rurali all’abbraccio coi tedeschi. Dice il presidente di Cassa Banca, Fracalossi: «Stiamo costituendo un unico gruppo bancario cooperativo italiano. La riorganizzazione avrà la propria carica innovativa nella ricerca di un equilibrio tra i valori fondanti della cooperazione di credito e le logiche di mercato dei capitali. Dovrà rendere possibili le prerogative tipiche del grande gruppo bancario salvaguardando l’autonomia delle singole banche». Ribatte Azzi, a capo di Federcasse: «Non ha alcun senso mettere le banche in concorrenza tra loro nell’attuale contesto normativo e di mercato. Ciò non solo indebolisce un sistema che avrebbe la possibilità di essere un punto di riferimento nel panorama bancario italiano ma moltiplica i costi e disorienta management e basi sociali che sono la nostra ricchezza»
Tra i due belligeranti si colloca Cassa Raiffeisen, che raggruppa 41 delle 43 banche coop della provincia di Bolzano con 10,9 mld di raccolta e 40,4 mln di utile. Da sempre gelose della loro autonomia esse sono riuscite ad ottenere una deroga dalla legge e non avranno nessun obbligo di aggregazione qualunque sia il loro capitale sociale. Perciò per ora stanno alla finestra, hanno firmato un accordo con Federcasse per uniformare il sistema informatico ma strizzano l’occhio anche ai cugini trentini. In pratica, aspettano di vedere che succederà. Dice il direttore generale, Paul Gasser: «Siamo ben felici di non dover entrare nelle dinamiche che mettono in concorrenza Federcasse e Cassa Banca per la conquista delle adesioni degli istituti». Intanto Cassa Banca ha fatto partire le procedure per trasformare le pre-adesioni in sottoscrizione del contratto di coordinamento e dell’aumento di capitale di 600 mln. E parte il dualismo tra Federcasse, con punte di forza nel Lazio e in Emilia, e Cassa Banca, legata alle banche del Nord, coi tedeschi benvenuti allo sportello.