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 2017  gennaio 11 Mercoledì calendario

Tra figlio, moglie e marito non mettere la toga. Il caso del tredicenne troppo effeminato

Il tribunale per i minorenni di Venezia sta perseguendo delle politiche minorili perlomeno discutibili, e l’ultimo caso è questo: secondo i giudici, un ragazzino di 13 anni (ragazzino per dire: è alto 1 e 90) entro il 17 gennaio dovrà essere allontanato da entrambi i genitori e trasferito in una comunità possibilmente assai lontana da casa: questo perché, a dire dei giudici, avrebbe bisogno di un percorso di revisione dovuto senz’altro a una certa oppressione della madre, ma-quiilpunto-anche perché «effeminato» per effetto di una troppo stringente frequentazione appunto della medesima e delle sorelle. Il tribunale cioè ha dichiarato «entrambi i genitori decaduti dalla responsabilità genitoriale» dopo una relazione dei servizi sociali che è stata presa piuttosto alla lettera: e ricordiamo, nostra nota, che ai servizi sociali spesso operano psicologi con una preparazione non espressamente medicoscientifica che tuttavia ha il potere di incidere per sempre sulla vita di tre persone in questo caso. 
SMALTO E TRUCCO 
A dire dei servizi sociali dunque anche secondo i giudici «la relazione con la madre appariva connotata da aspetti di dipendenza, soprattutto riferendosi a relazioni diadiche con conseguente difficoltà di identificazione sessuale, tanto che in alcune occasioni era andato a scuola con gli occhi truccati, lo smalto sulle unghie e brillantini sul viso». Diciamo subito, perché non è stato smentito, che l’episodio in realtà sarebbe accaduto in terza elementare per una festa di Halloween. Il ragazzino proseguendo denoterebbe perciò «un disturbo di personalità» in quanto «nella relazione con i pari e gli adulti è aggressivo, provocatorio, maleducato, tende a fare l’eccentrico. Tende in tutti i modi ad affermare che è diverso e ostenta atteggiamenti effeminati in modo provocatorio». Questo si legge nel decreto, che per definizione è «provvisorio» anche se ad apparire definitivo è il tono che adotta, e perciò le conseguenze mediatiche e pubbliche che potrebbero derivarne. 
ABUSI SMENTITI 
Prima di proseguire, però, la faccenda va inquadrata meglio. Intanto va detto che non stiamo parlando di un contesto degradato né di una storia di ignoranza favorita dalla miseria economica: i genitori e la sorella sono laureati e non privi di mezzi, benchè i genitori ai ferri corti tra loro. Secondo: tutto nasce da quando la madre denunciò il padre (s’intende suo marito) per “maltrattamenti e abusi” con un processo si concluse con quella che alcuni quotidiani hanno definito «assoluzione per insufficienza di prove», anche se è una formula che non esiste più dal 1989 in quanto si definisce come una «assoluzione perché il fatto non sussiste». Comunque le motivazioni della sentenza, per quanto interessa, spiegarono che non c’era motivo di dubitare dei fatti raccontanti dal bambino, che fu ritenuto credibile. A margine della sentenza ci fu tuttavia una perizia fatta da una psicologa dei servizi sociali siamo nel 2012 nella quale già si indicava la madre come responsabile del «comportamento oppositivo» del bambino nei confronti del padre, e si criticava l’invasività di lei nella vita del figlio, già allora definito effeminato. Da qui un primo provvedimento di allontanamento disposto dal tribunale: il bambino, divenendo via via ragazzo, fu obbligato a recarsi in una comunità tutti i giorni, dalle 7 alle 19. 
La seconda relazione dei servizi sociali risale all’anno scorso, e si incolla perfettamente alla successiva decisione dei giudici ora di allontanare il ragazzo da entrambi i genitori e quindi di trasferirlo in una comunità lontana e possibimente «terapeutica». È qui che si legge di una «conseguente difficoltà di identificazione sessuale», è qui che a riprova si cita l’episodio in cui il ragazzo andò a scuola «con gli occhi truccati, lo smalto sulle unghie e brillantini sul viso».
Ora capite bene che tutta questa storia, in attesa di capirla meglio, pone degli interrogativi comunque sconcertanti. Ieri la presidente del tribunale per i minorenni ha voluto precisare che «non allontaniamo un minore dalla famiglia perché ha un atteggiamento effeminato, non facciamo discriminazioni sessuali... Ogni provvedimento che limita la responsabilità genitoriale è legato a una visione complessiva». Ma ha preferito non entrare troppo nel merito. 
COMUNITÀ PROTETTA 
Noi abbiamo provato a farlo e ci siamo procurati la sua sentenza, cioè il decreto: e diversamente da quanto si è letto su altri giornali il comportamento della madre, per come descritto, parrebbe agli effetti imbarazzante: risulta che abbia sempre creato problemi, che abbia contestato e addirittura denunciato la comunità dove andava il figlio, che pretendeva che gli incontri tra il figlio e il padre avessero «modalità protette», eccetera. E può anche essere non siamo pedagoghi che sia necessario «permettere al ragazzo un funzionamento (sic) differenziato rispetto quello materno» e che lui abbia un’eccessiva dipendenza. Ma fa comunque impressione leggere, in un provvedimento di tribunale, che un tredicenne potrebbe avere una devianza sessuale (sarebbe l’omosessualità) se continuasse a vivere con la mamma e con le sorelle. Comunque la si pensi, la decisione di allontanare un ragazzino (anche) per un atteggiamento effeminato appare discriminatoria, e oltretutto contribuirà a bollarlo anche nella prossima comunità che l’attende: comunità che, in genere, non sono abitate da stinchi di santo.