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 2017  gennaio 09 Lunedì calendario

«Immigrati: come rispedire a casa tutti quelli che commettono reati». Intervista a Marzio Barbagli

«La preoccupazione di molti italiani è fondata». Ad eccezione dei reati da “colletti bianchi” (corruzione, concussione, appropriazione indebita), «per tutti gli altri delitti la quota degli stranieri sui denunciati è alta, talvolta molto alta». E gli immigrati islamici, unici tra i quali può attecchire l’estremismo, rappresentano un problema ulteriore rispetto a quelli delle altre religioni. Marzio Barbagli, sociologo, professore emerito all’Università di Bologna, non ha mai nascosto il suo essere “di sinistra”. È stato il primo, nel 2008, con il libro Immigrazione e sicurezza in Italia, ad affrontare in maniera esplicita il tema, allora come oggi politicamente scorretto, dei reati commessi dagli immigrati (irregolari e regolari). Uno studio che ha recentemente aggiornato in un articolo pubblicato per lavoce.info. Dove spiega che l’incidenza della criminalità ad opera degli immigrati è alta soprattutto nelle grandi città del CentroNord: Roma, Firenze, Bologna e Milano. Numeri, sostiene Barbagli, “che non mentono”. 
L’Italia dal 2014 ad oggi è sotto la pressione dei flussi migratori. Nel 2016 sono stati 181.436 gli stranieri sbarcati sulle nostre coste: più 18% rispetto al 2015 e più 7% rispetto a due anni fa. Più immigrazione significa più criminalità? 
«Non in automatico. Negli ultimi dieci anni, contrariamente a quanto ci si sarebbe potuto aspettare, a livello nazionale non c’è stato un aumento della percentuale degli stranieri sul totale dei denunciati per i diversi reati. Per molti delitti, però, la percentuale degli stranieri è molto alta. E si tratta di alcuni reati contro il patrimonio, come i furti in appartamento, borseggi e rapine in pubblica via: i reati maggiormente avvertiti dai cittadini. La loro frequenza ha ripreso a crescere nel periodo della crisi economica, dal 2007-2008». 
Quale è la percentuale degli immigrati rispetto al totale dei responsabili di questi reati? 
«Basta dare un’occhiata ai dati che riguardano le grandi città italiane. A Milano e Roma, per fare esempio, la percentuale degli stranieri sul totale dei denunciati per borseggi raggiunge e supera il 90%, per i furti in appartamento supera il 70%. Nel complesso dell’Italia non c’è stato un aumento rilevante degli stranieri sul totale dei denunciati, ma solo perché la percentuale negli ultimi anni era già molto alta. Una crescita avvenuta nel lungo periodo, dall’inizio delle pressioni migratorie, nei primi anni Ottanta». 
C’è una “specializzazione etnica” nella commissione dei reati? 
«Tutte le volte che abbiamo provato a verificarlo, l’esito non è stato univoco. Le nazionalità che occupano i primi posti nella classifica degli autori dei reati variano. E comunque la frequenza con la quale i diversi gruppi etnici commettono i delitti dipende dalla loro presenza sul territorio nazionale». 
I romeni appaiono in testa a molte classifiche sulla criminalità straniera. 
«È vero, ma questo è dovuto anche al fatto che sono la nazionalità non italiana più presente nel nostro Paese». 
In Italia l’emergenza, come dimostra il giro di vite annunciato dal ministero dell’Interno, si chiama “irregolari”... 
«È da anni che è così, non è un problema degli ultimi mesi. C’è una massa di stranieri senza il permesso di soggiorno di cui le forze di polizia o sospettano che abbiano commesso reati, o che li stiano commettendo o che abbiano alte probabilità di delinquere. Ma non sappiamo quanti sono». 
Si parla di una zona grigia di almeno 100mila stranieri non in regola. Tutti potenziali criminali? 
«No. Per “irregolari” si intendono gli stranieri senza permesso di soggiorno. Gli aspiranti rifugiati affluiti nell’ultimo triennio, finché restano in attesa della risposta alla loro domanda di protezione, non vanno considerati tali: sono sedicenti profughi in attesa di conferma. E tra gli irregolari tout court ci sono anche coloro che hanno semplicemente il permesso di soggiorno scaduto, persone alle quali non verrebbe mai in mente di commettere un reato». 
Poi c’è il problema delle espulsioni. Il ministro dell’Interno, Marco Minniti, promette di dare un giro di vite del quale sembra esserci un gran bisogno. Quanti stranieri irregolari sono stati rintracciati dalle Forze dell’ordine negli ultimi anni? 
«Il numero è variato nel corso del tempo. Ha raggiunto un picco di circa 100mila unità all’anno e poi, da quello che sappiamo, prima dei flussi migratori dell’ultimo triennio era arrivato alle 35-40mila persone. Attenzione: si tratta di stime sui rintracciati, soggetti che le autorità hanno cercato in qualche modo di rispedire a casa». 
E di questi quanti sono stati effettivamente rimpatriati? 
«Il problema italiano è tutto qui. La percentuale di indesiderati che le forze di sicurezza sono riuscite a rimpatriare nei Paesi d’origine, si è aggirata in media intorno al 50% dei rintracciati. E ultimamente il dato è sceso al 40%. Nel corso degli anni si è stratificata l’incapacità, non per colpa della Polizia, ma di una legislazione che a furia di leggi, regolamenti, annullamenti di leggi e regolamenti e sostituzioni, non ha favorito la soluzione del problema. Che è quello di riportare a casa un numero soddisfacente di persone che svolgono attività illecite. È questo il nostro punto debole». 
Minniti sostiene che “è difficile il respingimento immediato di una persona irregolare, non esistono le procedure, prima bisogna avere il rapporto con il Paese che deve accogliere, che avrà bisogno di tempo”. Non è una dichiarazione di resa, ma un’ammissione di grande difficoltà. Cosa deve fare il governo per far funzionare la macchina dei rimpatri gli irregolari? 
«Potrebbe fare molto, ma si tratta di cose difficili e costose. Prendiamo il caso dei Centri di identificazione ed espulsione, che Minniti vorrebbe ripristinare: potrebbero svolgere una funzione positiva, ma finora sono stati gestiti male. Invece dovrebbero essere oggetto di generosi investimenti da parte dello Stato». 
Per farne cosa? 
«I Cie andrebbero resi “inattaccabili”. Oggi sono luoghi dove gli immigrati non vanno a finire volentieri, se non altro perché dovrebbero frequentarli in attesa di essere rimpatriati. In passato ne ho visitati alcuni: erano indifendibili e non incontravano neanche il favore della popolazione. Poi c’è il fronte degli accordi con i Paesi d’origine degli stranieri, senza i quali dei Cie non ne facciamo niente. Ma per fare gli accordi internazionali non basta un governo che duri sei mesi o un anno, si tratta di programmi di lungo periodo». 
Il progetto illustrato da Minniti, la creazione di Cie in grado di accogliere al massimo cento immigrati, molto più piccoli di quelli che ci sono stati sinora, la convince? Non rischia di lasciare fuori troppi immigrati? 
«Se i nuovi centri nascono diversi dai precedenti, come Minniti prevede, con maggior rispetto per i diritti degli immigrati, possono essere un ottimo punto di partenza per invertire la tendenza». 
Francia e Belgio sono state flagellate del terrorismo compiuto da francesi e belgi di terza generazione. L’Italia tra un paio di decenni rischia la stessa fine? 
«Questo non lo sa nessuno. In ogni caso, da noi gli immigrati di seconda generazione sono ancora meno che altrove. Per evitare i rischi di radicalizzazione potrei rispondere che bisognerebbe procedere con una maggiore integrazione...». 
Non sembra molto convinto. 
«La Francia è il Paese che ha portato avanti i maggiori tentativi di integrazione. Eppure, a partire dalle rivolte nelle banlieue del 2005, ha dovuto fare i conti con vere e proprie insurrezioni. Quindi apparentemente la risposta è: serve maggiore integrazione. Ma la realtà, come dimostra la cronaca, è molto più complicata. Ci vuole maggiore integrazione in tutti gli aspetti della vita sociale e economica». 
L’immigrazione di stranieri di religione musulmana è un problema nel problema? 
«In parte sì. Nell’ultimo decennio tra gli islamici è più facile trovare gruppi radicalizzati. Un rischio che per altre religioni non sussiste: non ci sono gruppi cattolici, ad esempio provenienti dall’Europa dell’est, con parole d’ordine venate da estremismo». 
Il presidente del Consiglio, Gentiloni, ha ammesso che le carceri rappresentano un veicolo di radicalizzazione per gli islamici che vi soggiornano. Se ne parla da anni, ma una soluzione efficace non è ancora stata trovata. Esiste? 
«Purtroppo il problema delle carceri è molto serio, non solo per quanto riguarda gli immigrati. Non da ora, si dice che, per come sono oggi, le carceri avvicinano alle attività illegali, invece che allontanare, coloro che vi finiscono dentro».