la Repubblica, 9 gennaio 2017
Il vizio dell’esonero anche tra i Cantanti Giacobbe all’oratorio
QUANDO Luca Barbarossa, presidente alla Zamparini, per sollecitare le sue dimissioni gli disse che alla Nazionale Cantanti serviva un allenatore che avesse «una faccia più televisiva», Sandro Giacobbe aveva appena sconfitto un tumore. Il volto non era più quello giovane e fresco di quando era l’idolo delle teenager e con “Signora Mia”, anno di grazia 1974, anche in Spagna era arrivato al vertice dell’hit parade o quando con “Gli occhi di tua madre” si era classificato al terzo posto al Festival di Sanremo. «A quanto pare – spiega Giacobbe – per la Nazionale Cantati ero diventato un problema. E allora, dopo 36 anni, mi sono chiamato fuori. Non senza una punta di amarezza, per come si è tramato alle mie spalle.
Una congiura che è iniziata a Chiavari, la città dove vivo e dove con la Nazionale Cantanti avevo riempito lo stadio. C’era stata l’alluvione e con l’incasso abbiamo aiutato un istituto per sordomuti, che ospita anche diversi minori, a ricostruire il settore cucina».
In panchina non c’era finito per caso, è infatti l’unico cantante italiano ad aver conseguito il patentino della Federcalcio (era il 1994), quello che gli permetterebbe di allenare sino alla serie D e di fare il tecnico in seconda in Lega Pro. È stato l’ultimo dei grandi vecchi a mollare: «Anche Zucchero avevamo fatto giocare, voleva fare il portiere, ma non ne aveva proprio la stoffa. Il nucleo storico, quello formato da Mogol, Morandi, Ramazzotti, Fogli, Ligabue, Tozzi, Mingardi, Ruggeri e Antonacci, si è dissolto. Certamente per raggiunti limiti di età, ma anche perché con gli anni sono venuti meno quei valori che ci avevano sempre animato. Era bellissimo ritrovarci tutti insieme, ma soprattutto ci faceva felici riuscire a fare qualcosa per gli altri. Quella di Mogol era stata un’idea fantastica. Le prime apparizioni risalgono al 1979, nell’81 nasce ufficialmente la Nazionale Cantanti con tanto di statuto. E tra i soci fondatori, oltre naturalmente a Mogol, ci sono Morandi, Mingardi, Umberto Tozzi e il sottoscritto. Con me in panchina, per gioco, sono venuti grandi allenatori e giocatori come Lippi, Batistuta, Allegri e Montella. Abbiamo giocato in Italia e anche all’estero, sostenendo tantissime associazioni di volontariato e i loro progetti sociali, piccoli e grandi che fossero. Il clou è la “Partita del Cuore”, per organizzarla servono sei mesi di lavoro. Vanno identificati la città ma soprattutto il messaggio sociale da lanciare per invogliare più gente possibile a venire allo stadio. Parallelamente per eventi più piccoli, in modo che non fossero coinvolte solo le grandi città, ho anche creato la Nazionale Italiana della Solidarietà con personaggi dello spettacolo ed ex calciatori».
Nato a Genzano di Lucania, ma genovese d’adozione, Sandro Giacobbe, che lo scorso dicembre ha compiuto 65 anni, ha sempre avuto due grandi passioni: la musica e il calcio. Quando abitava a Moneglia, paesino sul mare di nemmeno tremila abitanti, è stato giocatore, allenatore e presidente del Monilia. Ma anche quando si è trasferito a Chiavari non ha tradito il calcio. «Mi ha coinvolto un personaggio fantastico come don Fausto Brioni. La sua parrocchia, nel quartiere di Rupinaro, è attivissima, attraverso Casa Caritas dà quotidianamente sostegno a circa trecento persone. E poi c’è il vecchio, caro oratorio dove si gioca a calcio senza tante paranoie tattiche. Così tre anni fa, anche con mio figlio Andrea, ci siamo detti: “ma perché questi ragazzini che non hanno mai fatto un campionato non li iscriviamo alla Terza Categoria?”».
Don Fausto presidente e Sandro Giacobbe allenatore. «Il modulo? Sono un assertore del 3-5-2, ma mi stuzzica molto giocare col trequartista dietro le punte. Lo scorso campionato non ci siamo qualificati per i play off solo per la differenza reti, ma quest’anno il Rupinaro Sport vola col vento in poppa. Io lo seguo meno perché fortunatamente ho di nuovo tanti appuntamenti di lavoro. La Nazionale Cantanti? Come socio fondatore resto nel consiglio direttivo. Per capodanno c’è stato uno scambio d’auguri distensivo, di certo quei fantastici 36 anni della mia vita non si possono cancellare con un colpo di spugna».