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 2017  gennaio 10 Martedì calendario

In morte di Bauman

Sono assai rare le star della cultura. Ma Zygmunt Bauman, scomparso ieri all’età di 91 anni, ha goduto di un’immensa popolarità grazie alla sua capacità di parlare alla gente con un linguaggio semplice e comprensibile, mai riduttivo. Lascia un vuoto incolmabile: aumenterà la «solitudine del cittadino globale», privo della sua voce indignata e rassicurante.
Sempre defilato dalle sfere istituzionali, il suo pubblico non erano i sociologi, né gli addetti ai lavori, ma le persone comuni che si affollavano attorno a lui per ascoltare le parole di un vecchio saggio che sapeva «vedere» i fenomeni generazionali. Fuori dalla sua età, ma con la saggezza della sua età. L’insofferenza all’ambiente accademico non gli ha impedito di essere riconosciuto come il più acuto osservatore della modernità, autore della brillante intuizione della «società liquida», efficace metafora della condizione attuale, in cui regnano l’incertezza e l’individualismo. Né di offrire un contributo fondamentale alla sociologia, risollevandola dalla condizione di decadimento in cui era precipitata alla fine del secolo scorso.
Con una presenza critica che si è rafforzata a partire dagli anni Novanta, è stato il più lucido testimone della crisi di passaggio tra il XX e il XXI secolo. Una crisi profonda, radicata tra il crollo delle ideologie degli anni Settanta e la recessione economica del 2008. All’interno di questo mutamento epocale ha interpretato le molteplici emergenze, come il passaggio dal lavoro materiale a quello immateriale, le nuove tecnologie, la globalizzazione, la precarizzazione e le nuove povertà, fino al fenomeno delle grandi migrazioni e del terrorismo.
Con l’idea della liquidità è riuscito a rappresentare l’essenza stessa del mondo in cui viviamo: la sua rapidità, permeabilità e mutevolezza. La solidità che aveva caratterizzato il mondo moderno, garantendo lo sviluppo economico attraverso la pace sociale e la certezza del diritto, si è venuta in parte vanificando a causa di quello stesso progresso che la modernità aveva sostenuto.
Il pensiero di Bauman, pur non essendo sistematico, ha elaborato un’originale costruzione teorica, in grado di innovare le scienze sociali con una decisiva svolta metodologica. La sociologia, spesso ridotta a funzioni ancillari della politica e dell’industria, si è limitata in passato a osservare passivamente la società, offrendone un’immagine tanto realistica, quanto priva di ogni valutazione, secondo l’impostazione «avalutativa» di Max Weber. Bauman ha restituito alla società un ruolo attivo, mettendola in grado di agire efficacemente, rendendola protagonista del suo futuro.
Questo secondo aspetto – pari, quanto a impatto nella coscienza collettiva, alla definizione di «società liquida» – modifica l’assetto tradizionale della sociologia: di una scienza che tendeva a prevedere il comportamento degli individui e, di conseguenza, anche a condizionarlo, di fatto rivelandosi uno strumento di controllo sociale. Bauman invece esclude ogni finalità di controllo: non più una sociologia per indirizzare, ma per acquisire le conoscenze adeguate e utilizzarle al meglio. Si invertono così i principi stessi della sociologia tradizionale: l’uomo e la collettività non sono più soggetti passivi, finalizzati a un’indagine statistica, ma attori il cui sapere permette di fare scelte consapevoli. La sua è una sociologia libera da condizionamenti politici, ma con una qualità in più: la capacità di farsi critica senza pregiudicare l’obiettività.
Ciò facendo, Bauman è riuscito, con insuperabile maestria, a raggiungere un duplice obiettivo: da una parte mantenere un livello di analisi di assoluta correttezza e affidabilità; dall’altra eliminare quegli aspetti di criticità che impediscono alla società attuale di migliorarsi. Il sociologo non è un capo o un trascinatore di folle, ma un imparziale osservatore della realtà, anche di quegli aspetti che non sono visibili in superficie o che sono stati occultati. La sua utilità universale è proprio quella di spiegare il presente. Per questo la sociologia formulata da Bauman è pervasa di umanità, si avvicina alla vita vissuta, alle esperienze individuali che, nel loro insieme – nella totalità dei piccoli e grandi eventi quotidiani che riguardano milioni di persone – assumono una valenza sociale.
Bauman ha attraversato il Novecento, vivendone le emergenze, le tragedie, le difficoltà. L’utopia marxista, poi l’oltraggio nazista e la Shoah, la militanza nell’esercito sovietico e l’epurazione dalla Polonia comunista, l’esperienza d’Israele e il rifiuto del sionismo, le delusioni e l’elaborazione di un pensiero critico che rifugge da ogni ideologia, dai pregiudizi e dall’omologazione, ne hanno fatto un testimone eccezionale del nostro tempo.
In uno degli ultimi colloqui esprimeva la differenza tra il periodo della guerra e il presente: «Allora la gente era ottimista, vedeva la luce alla fine del tunnel. Le insicurezze erano temporanee, perché se la guerra fosse finita, tutto sarebbe andato a posto. Ora invece ci rendiamo conto che l’insicurezza è per sempre». Non sono parole di rassegnazione, ma un invito ad affrontare la realtà, perché niente sarà più come prima. Nel consueto replicare a chi si preoccupava per lui, si coglie l’ultimo indizio di un carattere risoluto, con la pacatezza del gesto a sollevare l’inseparabile pipa: «Non preoccupatevi. Ho avuto una vita lunga e interessante!».