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 2017  gennaio 09 Lunedì calendario

Dalla prima intifada a oggi: ruspe e auto trasformate in armi letali

Il primo a guardarlo negli occhi è stato l’autista dell’autobus, quando ancora pensava che quell’enorme ruspa gialla stesse solo facendo una manovra sbagliata. L’ultimo, il poliziotto che gli ha sparato per fermarlo. Hosam Taysir Dwayyat è uscito a caccia con il bulldozer che ogni giorno usava al lavoro. A caccia di auto e pedoni. Su per via Jaffa in contromano, nel traffico soffocante di Gerusalemme. È il 2 luglio del 2008 e Hosam ripete il gesto compiuto ventuno anni prima da un altro palestinese che ha scagliato l’auto contro una pattuglia di soldati israeliani in un campo rifugiati attorno a Nablus, Cisgiordania. Erano i tempi della prima intifada, da allora la violenza è continuata. I camion o le macchine trasformati in armi sono utilizzati soprattutto da quelli che i servizi segreti definiscono «lupi solitari»: non appartengono a gruppi terroristici, pianificano la strage nel chiuso delle loro stanze, escono per andare al lavoro, si buttano a tutta velocità sui passanti, civili o militari. Da quando un anno e mezzo fa i palestinesi hanno intensificato gli attacchi per le strade, gli attentati con i veicoli – calcola il ministero degli Esteri israeliano – sarebbero stati una quarantina. La tattica del terrore è stata elogiata dai portavoce dello Stato Islamico in un messaggio via Telegram: «È un’idea nata dalle menti dei palestinesi, che sono sempre innovativi nel creare strategie per la guerra santa». Gerusalemme è la città più colpita perché gli assalitori possono arrivare dai quartieri orientali senza dover passare i posti di blocco, guidano auto o camion con targa israeliana, vanno a lavorare a Ovest, spesso impiegati nei cantieri edili, così ruspe e scavatrici sono trasformate in munizioni. Il governo del premier Netanyahu è restio a innalzare barriere per separare le parti arabe catturate nel 1967, significherebbe sancire la divisione della città dichiarata dal Parlamento capitale nella sua totalità, una decisione che la comunità internazionale non riconosce. «Le contromisure non sono semplici da individuare – scrive in un rapporto il Meir Amit Intelligence and Information Center – perché questi attacchi non richiedono una pianificazione o una logistica complesse. Proteggere fermate dell’autobus e aree pedonali con blocchi di cemento è un primo passo ma non è possibile rendere impenetrabili tutte le vie di una città».