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 2017  gennaio 09 Lunedì calendario

Boom! L’Italia con la pistola

Se vogliamo credere ai sondaggi – e di questi tempi è un vero e proprio atto di coraggio – in Italia solo l’8% di quelli che possiedono un’arma da fuoco ammette di averla acquistata per difesa personale: secondo un’indagine di Eurobarometro, infatti, a parte quelli che ne fanno un uso professionale (il 38%) più di uno su due ne sarebbe provvisto per andare a caccia (il 28%) o perché appassionato di tiro (il 23%). È un dato che insospettisce, sia perché è molto al di sotto della media europea (14%) sia perché negli ultimi anni il bisogno di sicurezza nel nostro paese non è certo in diminuzione. Anzi.
È un dato che insospettisce, sia perché è molto al di sotto della media europea (14%) e sia perché negli ultimi anni il bisogno di sicurezza nel nostro Paese non è certo in diminuzione. Uno studio dell’istat, ad esempio, ha rilevato che negli ultimi dieci anni i furti in abitazione sono più che raddoppiati.
Descrivere il rapporto degli italiani con le armi non è semplice. Per dirla con Vasco Rossi «non siamo mica gli americani», qui da noi la vendita è riservata ad alcune categorie ben precise e ancora più regolamentata è la facoltà di portarle con sé. Ci vogliono delle autorizzazioni sia per la detenzione che per il porto. Queste ultime possono essere rilasciate per vari motivi e analizzarne l’evoluzione quantitativa nel tempo aiuta a dare una dimensione al fenomeno nonché a fotografare le nuove tendenze.
Secondo gli ultimi dati del ministero dell’Interno – che si riferiscono al 2015 – i porto d’arma in Italia sono più di un milione e 300mila, di cui appena 19.984 per difesa personale e 44.334 concessi a guardie giurate; la parte del leone la fanno i cacciatori (774.679) e quelli che si dilettano con il tiro a volo (470.821). Ma se la diminuzione delle autorizzazioni per la difesa personale, dopo il «boom» degli anni Settanta, è tanto graduale quanto costante, la caccia e la pratica sportiva meritano un discorso più approfondito: in entrambi i casi, infatti, può essere interessante comparare il numero dei rispettivi porto d’arma con le licenze di caccia e con gli iscritti alle federazioni. Per quanto riguarda la caccia non è semplice censire il numero effettivo dei praticanti, che comunque si sono più o meno dimezzati nell’ultimo quarto di secolo. Ma al calo progressivo delle «abilitazioni all’esercizio venatorio» non sempre corrisponde quello dei relativi porto d’arma, se è vero che dal 2013 (quando erano 696.606) questi ultimi hanno ricominciato a crescere. Così come sono cresciuti quelli per uso sportivo, che però lo hanno fatto in maniera a dir poco clamorosa.
EFFETTO RIO
Stando alle statistiche, infatti, nel nuovo millennio i tiratori si sarebbero quadruplicati. Merito delle imprese dei nostri atleti? L’Italia ha sempre avuto grande tradizione in queste discipline (basti pensare che il nostro primo atleta olimpico, unico azzurro presente ad Atene 1896, fu proprio un tiratore), ma è negli ultimi 20 anni che abbiamo conquistato i due terzi del bottino di medaglie a cinque cerchi. Per restare ai Giochi di Rio De Janeiro, addirittura la metà degli ori italiani (4 su 8) sono arrivati dal tiro a volo e dal tiro a segno: un popolo di santi, poeti, navigatori e pure di cecchini, bisognerebbe aggiungere. Ci si immagina che all’aumentare dei porto d’arma per uso sportivo corrisponda una crescita proporzionale degli iscritti alla Federazione Italiana Tiro a Volo e all’Unione Italiana Tiro a Segno, ma leggendo i numeri qualcosa non torna. La Fitav ne conta circa 20mila, mentre quelli dell’Uits arrivano più o meno a 75mila. Il presidente del Tiro a Segno Nazionale di Roma Carlo Mantegazza ci aiuta a capirne di più: «Noi teniamo corsi annuali per guardie giurate, vigili urbani e polizia provinciale – spiega -, nella nostra struttura vengono circa 5.000 persone per obblighi di legge e altre 3.000 volontariamente. In generale credo non si possa negare che un tot di persone prenda la licenza sportiva per motivi che non c’entrano con questa attività». Quali potrebbero essere questi motivi è presto detto. «In diversi concorsi pubblici, specialmente quelli per le forze armate, titoli come il porto d’armi per il tiro a volo fanno punteggio – continua Mantegazza – e poi da quando la legge ha esteso le competenze di questo tipo di licenza essa è diventata molto più appetibile per chi desidera semplicemente acquistare un’arma». Il riferimento è a una circolare del ministero dell’Interno risalente all’inizio del 2000. Da allora i titolari di porto d’armi per uso sportivo possono acquistare e trasportare (smontate) fino a 3 armi per difesa personale e 6 sportive.
TEST SULLO STRESS
Questo tipo di permesso non autorizza a tenere l’arma pronta per l’uso nemmeno nella propria abitazione pena il sequestro e una denuncia, tuttavia si può sospettare che più di qualcuno ne faccia un uso improprio. Qualcuno che non sarebbe riuscito a ottenere il porto per difesa personale – che invece viene rilasciato dalla Prefettura solo in caso di «dimostrato bisogno» o ad alcune categorie professionali ritenute particolarmente a rischio – e che in questo modo può comunque dotarsi di una pistola o di un fucile. Se ne deduce quanto siano importanti controlli, anche perché ogni anno in Italia le armi da fuoco mietono molte vittime. Secondo il sito specializzato Gunpolicy.org ben più di mille all’anno tra omicidi, suicidi e incidenti fino al 2000, mentre negli ultimi anni hanno oscillato tra i 700 e gli 800. Segno che qualche progresso è stato fatto. Si cura di più la prevenzione, come dimostra l’obbligo – introdotto nel 2013 ed effettivo da maggio del 2015 – di ottenere un certificato medico di idoneità psicofisica da parte di chi detiene armi. Questo certificato, come ha stabilito il Tar appena sei mesi fa, non può essere rilasciato dai medici come liberi professionisti ma solo presso i distretti sanitari delle ASL, gli ospedali militari e le infermerie di Polizia. «La normativa attuale è certamente più seria» – conferma lo psichiatra militare Marco Cannavicci -, che poi spiega come funzionano gli accertamenti: «Dopo aver sottoposto il richiedente agli esami classici (sangue, ecg, eccetera) si indaga sulla sua stabilità emotiva sia con domande sul passato, su come ha gestito situazioni di stress, che con prove psicodiagnostiche che danno indicazioni sugli indici di impulsività. Perché ovviamente il pericolo di avere un’arma è quello di usarla in un attimo di turbamento facendo cose di cui subito ci si pente. Detto questo, nessun test predittivo può dare certezze assolute: noi facciamo valutazioni sul pregresso ma nessuno ha la sfera di cristallo per leggere il futuro. Inoltre, specialmente dopo i 55-60 anni possono cambiare rapidamente le situazioni vascolari a livello cerebrale». Sarebbe quindi opportuno ripetere le visite con frequenza, e magari rivedere la normativa: oggi chi viene sorpreso senza la certificazione medica non va immediatamente incontro a un sequestro ma ha 30 giorni di tempo per mettersi in regola. Una scappatoia che rischia di vanificare l’efficacia della prescrizione.
ARSENALI CASALINGHI
E un altro suggerimento per il legislatore arriva da Carlo Mantegazza, secondo cui «il vero problema è quello delle armi detenute, perché nel nostro Paese il possesso è pressoché libero, ad essere ben regolamentata è solo l’acquisizione. È qui che bisogna intervenire». In effetti chi trova o eredita armi sarebbe tenuto a denunciarle alla Polizia o ai Carabinieri come chi le compra, ma nel tempo le case degli italiani si sono trasformate in un vero e proprio arsenale bellico parallelo. Lo sostiene un rapporto Eurispes del 2008, che stimava in circa 4 milioni le famiglie in possesso almeno di una pistola e in 10 milioni le armi legali presenti sul territorio; Torino e Milano erano le città più armate seguite da Roma e provincia, mentre tra i centri meno abitati spiccava Nuoro. Più recentemente la Commissione europea – in una comunicazione al Parlamento datata ottobre 2013 – ha attribuito all’Italia 11,9 armi da fuoco ogni 100 abitanti, collocandola a metà classifica tra i paesi dell’Unione (guida la Finlandia dove il 45,3% della popolazione è armata, chiudono Lituania e Romania con lo 0,7%). Il problema della relazione tra numero di armi in rapporto alla popolazione di uno stato e il numero di delitti contro le persone, in particolare di omicidi volontari, è molto dibattuto: arrivare a una verità scientifica è molto complicato perché in ballo entrano molte altre variabili come la stessa nozione di arma, le cause sociali che determinano i livelli di criminalità e le diverse legislazioni. Di sicuro un ruolo molto più importante lo giocano le armi illegali rispetto a quelle legittimamente detenute: contarle è impossibile, ma da questo punto di vista in Italia, dove la criminalità organizzata resta molto forte, non siamo messi benissimo.