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 2017  gennaio 08 Domenica calendario

Buffalo Bill, sul ciglio d’una strada a contemplare il Far West

Il destino mise di fronte i due maghi a Verona, aprile 1890. Emilio Salgari, il romanziere padre di Sandokan, era un giovane cronista, Buffalo Bill, il leggendario cacciatore di indiani e bisonti che girava il mondo con il suo circo «Wild West». Quando la diligenza veniva attaccata da indiani autentici che Buffalo Bill reclutava come comparse dopo averli combattuti per anni, uno spettatore veniva invitato a entrare in pista e battersi. Salgari non esitò e per un momento, in Italia, la Leggenda dei Mari del Sud e il Mito del Far West si incontrarono.
Buffalo Bill si chiamava William Frederick Cody, era nato nelle praterie dell’Iowa nel 1846, per morire cento anni fa, il 10 gennaio 1917. Il nomignolo per cui è celebre, Buffalo Bill, lo conquistò contro un altro cacciatore, mezzo Cheyenne, William Comstock, nel 1867: chi avrebbe ucciso più bisonti in una battuta di caccia si sarebbe potuto fregiare del titolo. Comstock ne abbatté 48, con una tattica tipica degli indiani, caricando da retro la mandria in fuga e colpendo i capi che si attardavano con un fucile Henry a ripetizione. Cody usò la tattica del giocatore di biliardo, rimontò col suo mustang gli animali, colpì i capi mandria e mentre gli altri animali si sbandavano ne centrò 68 in otto ore, grazie a un fucile Springfield 1866, battezzato Lucrezia Borgia. Comstock, nipote di James Fenimore Cooper, autore dell’Ultimo dei Mohicani, si accontentò da allora del soprannome Medicine Bill.
Un Disney ante litteram
Nella struggente ballata Buffalo Bill, Francesco De Gregori immagina un Cody giovane e orgoglioso eroe del West che, invecchiato e imbolsito, in «un pomeriggio triste, sul ciglio di una strada a contemplare l’America…», firma un contratto capestro e diventa saltimbanco col «Circo Pace&Bene».
Le cose non andarono così: Buffalo Bill fu uno dei creatori dell’ideologia del Far West, che da Ombre rosse di John Ford a Django di Tarantino ha conquistato la coscienza del mondo. Il suo circo, Wild West, diffuse il culto della frontiera con esibizioni in Europa davanti alla Regina Vittoria, al Kaiser, a papa Leone XIII, recensite con entusiasmo da una giovane La Stampa quando il treno lungo un chilometro con cavalli selvaggi, fucili, indiani, cowboy, si fermò a Torino. Questo giornale informò i lettori che gli indiani di Buffalo Bill erano «quasi tutti cattolici», mentre la Gazzetta del Popolo rassicurava: sono «quasi nudi», ma le tinte di guerra ne coprivano le vergogne.
Cody-Buffalo Bill era un imprenditore, un uomo di spettacolo, Disney o Lucas ante litteram, capace di comprendere come il sogno americano, West-Topolino-Guerre stellari, sia capace di sedurre ovunque. Per lui, come per un antico greco, non esisteva confine tra realtà e gesta degli eroi. Il primo a vedere che in quello scout formidabile si celasse uno showman fu il generale Sheridan, reduce della Guerra di Secessione, dove il giovane Cody aveva servito, staffetta nell’esercito nordista.
Per pubblicizzare le imprese dell’Armata del West, che battuto il Sud schiavista era impegnata a liberare la frontiera dagli indiani irriducibili, Sheridan affida a Cody il ruolo, diremmo oggi, di testimonial. Lo convoca per scortare il Granduca di Russia Aleksej a una gigantesca partita di caccia, con Cody e Sheridan cavalca un giovane generale ebbro di gloria, George Armstrong Custer. I giornali scrivono meraviglie dell’avventura e Cody diventa protagonista dei romanzi alla Salgari di Ned Buntline, portando in teatro, con il pistolero Wild Bill Hickok, lo spirito del West. Non è dunque con il VII Cavalleggeri nel 1876, quando Custer, senza uno scout serio, e accecato dall’arroganza, cade nella trappola mortale al Little Big Horn. Cody lascia subito lo spettacolo, e secondo le cronache del tempo – forse leggende, ma non penserete davvero che siamo stati noi a inventare le «false notizie»? – torna in guerra, indossando gli abiti di scena. Tre settimane dopo il massacro del VII Reggimento di Custer, Cody si imbatte in un drappello di Cheyenne e lo sconfigge, pare strappando lo scalpo a un caduto, al grido «Questo è per Custer!».
Oltre ogni cliché
Vero o falso? Nessun cliché si appiccica a Buffalo Bill, Uomo-Maschera. Suo padre era stato accoltellato dagli schiavisti in Kansas, perché si batteva a favore degli afroamericani, e ancor bambino William aveva cavalcato per ore salvandolo da un’imboscata razzista. Da adulto si espresse sempre a favore dei diritti di indiani e donne, e mentre in America andavano in scena solo grotteschi bianchi travestiti da neri, i minstrel, Cody firmava contratti con Sitting Bull, Toro Seduto, il nemico di Custer a Little Big Horn, le pistolere Annie Oakley e Calamity Jane. Non era un clown, ma un impresario.
Aveva ucciso il primo indiano a 14 anni, con un fucile ad avancarica, vantava i trofei di 4282 bisonti, aveva dato la caccia ai sudisti, cercando invano oro in Colorado e trovandolo al circo. La moglie gli rifiutò il divorzio, per gelosia, dopo quattro figli fecero pace. Ebbe la più alta onorificenza militare d’America, la Medal of Honor, per le cariche con il III Cavalleria, gliela ritirarono per ridargliela nel 1989. Volle farsi battezzare cattolico poco prima di morire, fondò in Wyoming la città di Cody, e nel 1899 il giornale Cody Enterprise, ancora in stampa. Del suo mito sappiamo tutto: di cosa davvero pensasse il bambino che cavalcava di notte per salvare il padre, contendendo la libera prateria a indiani e bisonti come in un gioco feroce, nulla.