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 2017  gennaio 08 Domenica calendario

Trump, Pechino prepara ritorsioni a colpi di dazi

Se a Mosca hanno brindato all’elezione di Donald Trump, a Pechino i calici devono essere rimasti a mezz’aria per un po’ prima di infrangersi a terra ancora pieni. La diffidenza iniziale si sta trasformando in qualcosa di più (diplomaticamente) vicino all’ostilità se è vero che – in un incontro tra responsabili del Commercio – alti funzionari cinesi hanno fatto sapere alle loro controparti, nelle stanze dei bottoni ancora per due settimane, che eventuali dazi imposti da Washington sulle merci cinesi (come promesso da «The Donald» in campagna elettorale) saranno seguiti da identici provvedimenti sulle merci americane dirette nella Repubblica Popolare. La concreta possibilità di una guerra commerciale, nonostante le rassicurazioni post elettorali della squadra del tycoon, fa dire ai cinesi che «tutto questo farà molto male a entrambi».
Conferma il segretario uscente al Commercio Penny Pritzker al Financial Times: un conflitto sulle tariffe «avrebbe un impatto immenso sugli Stati Uniti». D’altro canto, Pechino si prepara a uno scenario tutt’altro che ipotetico, legato non tanto agli slogan elettorali quanto alle scelte operate dopo il trionfo di novembre. Trump, infatti, ha promosso una serie di nomi considerati ostili alla Cina. Come Peter Navarro, futuro consigliere della Casa Bianca, autore di un saggio intitolato «Death by China» («Morte per mano cinese») trasformato in un docu-film nel 2013. O lo stesso prossimo segretario del Commercio Wilbur Ross, miliardario e co-autore, con Navarro lo scorso settembre, di un «libro bianco», destinato a dettare la strategia economica Usa, dove si dice tra l’altro che Pechino «imbroglia sui mercati e manipola la sua valuta».
È la prima volta dal ritorno a normali relazioni – l’apertura voluta dal duo Kissinger-Nixon all’inizio degli anni Settanta – che nelle stanze di Zhongnanhai, il recinto del potere a lato della Città Proibita, non si sa cosa esattamente attendersi da un’amministrazione repubblicana. In passato i timonieri – senza mai esprimerlo apertamente – hanno sempre guardato con favore ai presidenti conservatori, giudicati più «pragmatici» e «non ideologici». Mentre un inquilino della Casa Bianca democratico era l’occasione per una sicura frizione sui massimi sistemi: tradizionalmente, i progressisti Usa sono più attenti al discorso sui diritti umani e sulle libertà fondamentali, da promuovere con le relazioni bilaterali. La percezione del Bel Paese (la parola cinese per indicare l’America, Meiguo, significa questo) dall’interno della Grande Muraglia finora è stata la chiave per costruire un rapporto bilanciato, capace di evitare gli estremi e un possibile confronto strategico. Il ciclone Trump, ancora prima di aver raggiunto la Casa Bianca, sembra destinato a spazzarla via.