Libero, 7 gennaio 2017
L’opinione pubica
Detto a bocce ferme, a me non preoccupano le fregnacce di Grillo sui tribunali popolari, ma il contesto in cui ha tranquillamente potuto parlarne. In questo ha ragione lui, semina in terra fertile, e le nostre reazioni, le nostre evocazioni di Mao e del fascismo, restano patetiche. Guardatevi attorno, amici giornalisti, cercate lo spirito del tempo: niente che scriviamo incide più, neppure i fatti o i factchecking, e tantomeno i ragionamenti e i ruoli e gli status che, anzi, sono guardati con sospetto da un risentito neoproletariato in cui siamo dentro tutti. Giusto o sbagliato, le Brexit e i Trump e i Cinquestelle e il referendum sono i prodotti di un pensiero unico che ormai parte dagli stomaci (anche più sotto) e da un’ignoranza definitivamente fiera di esserlo, altro che «l’opinione pubblica» a cui ci illudiamo di indirizzarci. Che succede? Non sappiamo più prevederlo, così ci riduciamo a fare da megafono a chi spara la cazzata più grossa e a legittimarla con la scusa della voce di popolo: l’espressione «casta» la coniò il Corriere della Sera, non Grillo. Abbiamo fatto fuori i partiti, i sindacati, il welfare, gli status professionali, ora i giornali: e ci ritroviamo un mondo che è preda degli intercettatori di paure e dei socialmente invidiosi, dove anche un articoletto come questo tutti gli articoli non ha più l’acqua in cui nuotare. Detto a bocce ferme, le bocce non sono ferme, mai.