Il Sole 24 Ore, 7 gennaio 2017
L’autocritica del capo economista della Banca d’Inghilterra: «Previsioni sbagliate, siamo come i meteorologi»
Smentiti dalla realtà, gli economisti si concedono un atto di contrizione. Per ora, ufficialmente, è uno solo fra i nomi più blasonati, Andrew Haldane chief economist della Banca d’Inghilterra. «Noi economisti siamo in crisi», ha riconosciuto strappando il velo sul dibattito che, sottotraccia, è stato innescato dalla crisi di Lehman nel 2008, s’è ripetuto con quella dell’euro, s’è moltiplicato dopo il verdetto britannico sull’adesione alla Ue.
Con un pubblico pentimento ha confessato di credere che il fallimento (relativo) nella previsione delle dinamiche economiche sia una realtà dei fatti che è andata affermandosi nell’ultimo decennio circa. Soprattutto dopo la Brexit che per la Bank of England avrebbe dovuto innestare una recessione quasi immediata mentre il 2016 si è chiuso sugli scudi e il 2017 sta cominciando assai meglio del previsto con gli indici di manifattura e servizi a livelli record degli ultimi anni e (quasi) piena occupazione, anche se a sostenerla sono i contratti a “zero ore”, forme di assoluto precariato.
Andrew Haldane ha individuato anche le ragioni all’origine di analisi scorrette. “I modelli su cui ci basiamo sono fragili e irrazionali, i problemi sono emersi quando il mondo è cambiato radicalmente e quei modelli si sono rivelati inadeguati per valutare comportamenti profondamente irrazionali”. Secondo Haldane che ha fatto il mea culpa in una confessione pubblica all’Institute for government di Londra c’è un illustre precedente alla congiuntura di oggi. “Ritengo sia onesto ammettere che la professione è in crisi, ma non è la prima volta che accade, basta pensare alla Grande Depressione del 1930. Quella situazione tuttavia ci portò John Maynard Keynes e con lui alla nascita della moderna macro-economia”. Per il momento Andrew Haldane non sembra vedere – quantomeno non lo ha indicato – l’imminente arrivo di un nuovo gigante del pensiero economico capace di riformare i modelli esistenti. Si è limitato a un’analisi, individuando l’esigenza di nuovi strumenti di elaborazione e paragonando la crisi degli economisti a quella dei meteorologi. Ha ricordato la clamorosa gaffe di una celebrity televisiva locale, il popolare esperto del tempo Michael Fish che nel 1987 annunciò “un forte vento in Spagna” senza prevedere un uragano su Londra.
La Brexit ha confermato la fallacia delle previsioni economiche, innescando la violenta offensiva dei politici più euroscettici che insistono nel chiedere le dimissioni del governatore Mark Carney accusato di aver messo la BoE al servizio della politica pro-Ue. In realtà l’errore, del tutto condiviso da Ocse, Fmi e dalle maggiori istituzioni internazionali, è sulla tempistica più che sui fondamentali, ovvero sull’esito finale del divorzio anglo-europeo. Andrew Haldane è stato esplicito in questo, riaffermando che per la BoE l’ondata Brexit colpirà l’economia del Regno Unito nel 2017 seppure secondo un calendario largamente corretto. La recessione tecnica immaginata, in luglio, dalla Banca d’Inghilterra per la fine del 2016 s’è risolta in una crescita dello 0,6% nel terzo trimestre, mentre gli ultimi indicatori suggeriscono una robusta progressione nel quarto trimestre dell’anno.
La maggioranza degli economisti britannici, tuttavia, come Andrew Haldane, continua a prevedere a medo e lungo termine un impatto profondamente negativo del divorzio anglo-europeo su Londra, ma tutti devono riconoscere l’eccessivo pessimismo manifestato sul breve. A trarre inganno è stata anche la politica. La confusione strategica su “quale Brexit ?” in cui si crogiola il premier Theresa May, incerta fra strappo totale dall’Ue con la rinuncia al single market o uscita morbida accettando l’inaccettabile (politicamente) patto con l’Ue sulla libera circolazione dei lavoratori, ha creato variabili impreviste. Gli economisti, inoltre, si attendevano l’immediato avvio del processo di recesso con l’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona che invece scatterà a fine marzo, nove mesi dopo il referendum. La percezione di business as usual è filtrata fra i cittadini e, per converso, li ha tranquillizzati, sul breve termine. I consumi in solida tenuta – oltre ogni previsione – sostengono una crescita che si giova, inoltre, di un pound indebolito. Proprio l’atteggiamento dei consumatori, dal 2008 ad oggi, secondo Haldane, è uno dei comportamenti più “irrazionali” che gli economisti non avevano immaginato. E per questo secondo il chief economist della Banca d’Inghilterra l’economia si deve aprire ad altre discipline, ampliare i propri modelli di analisi per interpretare dinamiche incomprensibili se lette solo con la lente di un approccio convenzionale.