Libero, 6 gennaio 2017
La Spagna cresce del 3,3% e l’Italia è rimasta al palo
La Spagna ha chiuso il 2016 con il botto, registrando una consistente diminuzione dei disoccupati, che ora sono 3 milioni e 700mila, e una crescita annua del pil pari al 3,3%. Se continua di questo passo a maggio del prossimo anno raggiungerà la quota di impiego del 2009, mentre la produzione interna ritornerà ai livelli pre-crisi. L’Italia, invece, ha mestamente chiuso l’anno al palo, con una disoccupazione rimasta tra alti e bassi pressoché identica al 2015, una crescita del pil che non sfiora nemmeno l’1%, e per ultimo il ritorno della deflazione, che su base annua non si registrava dal 1959. Al contrario della Spagna, del 10% del pil perso dal 2008 a oggi l’Italia ha riguadagnato solo il 2 per cento.
Non è che in Spagna sono dei geni e in Italia al contrario degli inetti, ma alla crisi economica, che aveva letteralmente rotto le ossa ad entrambi i Paesi (alla Spagna perfino più di noi), Roma e Madrid hanno reagito in modo diametralmente opposto: la prima riducendo i consumi pubblici e poi mantenendoli inalterati, la seconda, che non ha mai avuto un Monti al governo, aumentandoli considerevolmente, qualcosa tipo lo 0,3% a trimestre. Questo differente tipo di atteggiamento ha influenzato in modo opposto anche la dinamica dei principali indicatori della finanza pubblica. Uno studio Focus Bnl ha evidenziato, per dirla in termini tecnici, come in Italia il saldo primario, risultato della differenza tra entrate e uscite al netto degli interessi, dallo scoppio della crisi è sempre stato positivo, con l’esclusione del 2009, registrando un avanzo cumulato pari al 10% del Pil. Il saldo spagnolo è, invece, sempre stato negativo, con un disavanzo complessivo superiore al 40% del Pil. Per dirla invece in soldoni, tra il 2008 e il 2015 in Italia la politica fiscale restrittiva, finalizzata al riordino dei conti, ha scippato all’economia più di 160 miliardi di euro, con conseguenze disastrose sull’apparato produttivo del Paese e perfino sull’Amministrazione pubblica stessa. In Spagna invece la politica fiscale espansiva ha immesso nell’economia più di 450 miliardi, con benefici scontati ed evidenti per tutto il sistema. La differenza tra Italia e Spagna sta dunque in questi 600 miliardi di euro, il 40% di tutto il Pil italiano, e non ci si può sorprendere se ora Madrid cresce, mentre l’Italia stagna. E se la Spagna ha finanziato la ripresa a discapito del debito, passato dal 40% del 2008, al 100,9 del 2016, l’Italia con la sua politica del braccio corto, messa in atto proprio per diminuire il debito, non è nemmeno riuscita nel suo intento. Anzi il debito è aumentato, toccando e superando il 133% del pil.
Lo stesso studio Bnl fa notare che dietro la crescita spagnola c’è anche un livello di esportazioni superiore a quello di qualsiasi altro Paese europeo, Italia compresa. Nel confronto tra il terzo trimestre 2016 e il primo 2008, le esportazioni italiane sono aumentate in termini reali del 3%, mentre in Spagna addirittura del 25%. Nei dodici mesi tra l’agosto 2015 e quello 2016, le vendite all’estero di merci spagnole si sono avvicinate ai 260 miliardi di euro, con una crescita del 50% all’interno dell’Unione europea, del 75% nel resto del mondo. In Italia, anche se le esportazioni sono l’unica componente tornata ai livelli pre-crisi, gli aumenti si sono fermati al 36% nella Ue, e al 50% nel resto del mondo. Perfino nel turismo la Spagna ci ha superato e anche in questo caso i numeri ci danno una prova incontrovertibile: il numero totale di notti trascorse negli hotel spagnoli è passato da 345 milioni nel 2004 a 421 nel 2015, con un aumento di oltre il 20%. L’incremento si avvicina al 30% per la componente straniera, arrivata a rappresentare il 64% del totale. In Italia, nello stesso periodo, il numero delle notti è passato da 346 a 393 milioni, con un aumento inferiore al 15%. Una differenza di 30 milioni di notti. Commercio, trasporti, hotel e ristoranti, ovvero tutte le attività legate al turismo, in questi anni in Italia hanno mantenuto un peso invariato, producendo circa un quinto del valore aggiunto complessivo, mentre in Spagna la loro importanza è cresciuta, salendo oltre il 23 percento.
Ma la differenza tra Italia e Spagna non è fatta solo di numeri, la differenza è soprattutto politica: in questi anni Madrid dopo i controversi governi Zapatero, ha potuto contare su un unico presidente del Consiglio, Mariano Rajoy e su un’indiscussa stabilità politica E nemmeno il periodo di «vacanza» di dieci mesi tra il dicembre 2015 e l’ottobre 2016, ha scalfito l’iter delle riforme già impostate da tempo e l’incessante crescita dell’economia. Appena arrivato al governo, tra il 2011 e il 2012, Rajoy, contando su una maggioranza compatta e non litigiosa, ha abbassato gli indennizzi per i licenziamenti (in Spagna non è mai esistito l’articolo 18), ha tagliato la spesa pubblica diminuendo gli stipendi dei dipendenti pubblici e anche le pensioni. Ha perfino alzato le tasse, è vero, ma ha impiegato tutte le risorse disponibili per abbassare in modo decisivo il costo del lavoro. L’Italia invece dal 2008 a oggi ha avuto sei presidenti del consiglio diversi e le riforme sono state quasi sempre annunciate e mai realizzate. Vorrà pure dir qualcosa.