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 2017  gennaio 07 Sabato calendario

«Putin cercò di far vincere Trump»

Il presidente russo Vladimir Putin in persona ha ordinato nel 2016 «una campagna per influenzare le elezioni presidenziali Usa»: è questa la conclusione alla quale sono giunti i servizi segreti americani nel rapporto, in gran parte segreto, consegnato ieri dai loro capi a Donald Trump. Nella parte desecretata del documento si legge che l’obiettivo del Cremlino era quello di «minare la fiducia dell’opinione pubblica nel processo elettorale democratico, denigrare l’ex Segretario di Stato, Hillary Clinton, danneggiando la sua possibilità di essere eletta alla Casa Bianca». Secondo i servizi, nella loro azione i russi hanno manifestato una chiara preferenza per l’elezione di Trump. Un’azione, quella del Cremlino, giudicata una «significativa escalation» dei tentativi di indebolire le istituzioni democratiche occidentali che il regime russo ha fatto ripetutamente per molti anni.
Il presidente eletto Donald Trump, che anche a poche ore dall’incontro di ieri nella Trump Tower di New York con i capi della Cia, dell’Fbi e della National Intelligence, aveva continuato ad attaccare i servizi segreti giudicandoli politicizzati e accusandoli di aver imbastito, sul coinvolgimento del Cremlino, una sorta di caccia alle streghe, dopo il summit ha corretto la rotta ma di poco: ha implicitamente ammesso che dietro l’«hackeraggio» possono esserci stati i russi, circostanza prima negata, ma ha aggiunto che il risultato elettorale non è stato falsato, anche perche le macchine elettroniche usate per votare non sono state manomesse. E poi ha insinuato che i documenti del partito democratico siano stati trafugati elettronicamente perché quell’organizzazione politica non aveva predisposto difese informatiche adeguate, mentre i repubblicani non sarebbero stati colpiti dai russi non per scelta politica, ma perché dotati di migliori protezioni elettroniche.
Trump ha poi lamentato di nuovo l’uso di due pesi e due misure (scalpore per l’interferenza russa, mentre il massiccio «hackeraggio» cinese di un anno fa è stato presto dimenticato), ma ha ammesso che gli attacchi di «hacker» stranieri vanno comunque arrestati: presenterà un piano per la «cybersicurezza» entro 90 giorni.
Il leader che sostituirà Obama alla Casa Bianca ha continuato ad attaccare il lavoro degli organi di sicurezza Usa anche nell’immediata vigilia del vertice: prima nuove raffiche di «tweet» pieni di insinuazione nei confronti dell’«intelligence» e di attacchi alla stampa accusata di dire il falso quanto presenta un Trump d’accordo con Assange, il regista di Wikileaks.
E ancora, tre ore prima di ricevere il rapporto dei capi della Cia, dell’Fbi e del direttore della National Intelligence, James Clapper, Trump ha sparato di nuovo a zero sui rilievi dei servizi segreti in un’intervista al «New York Times». La ricostruzione dei tentativi di Mosca di influenzare il voto Usa liquidata come «una caccia alle streghe politica»: Trump ancora all’attacco delle sue strutture di «intelligence» (delle quali si accinge a cambiare i vertici), nonostante le critiche ricevute da un fronte molto ampio di parlamentari «bipartisan» e di «officials» di tutti i servizi di «intelligence». L’altra sera, alla vigilia del summit Trump-servizi, un primo dibattito si è svolto davanti alla Commissione Forze Armate del Senato: ne è emersa una generale preoccupazione (anche repubblicana) per la gravità delle interferenze russe e per il rischio che le critiche del neopresidente allo spionaggio Usa indeboliscano e demoralizzino una struttura essenziale per la sicurezza.
James Clapper, ascoltato durante lo «hearing», ha riconosciuto che i servizi possono sbagliare come chiunque altro e che, quindi, le critiche sono legittime, ma poi ha sottolineato, con evidente riferimento a Trump, che «c’è una differenza tra scetticismo e denigrazione».
Il miliardario che l’8 novembre scorso ha battuto Hillary Clinton non ha battuto ciglio nemmeno davanti allo «scoop» del «Washington Post» che ha dato notizia delle intercettazioni, da parte dell’«intelligence» Usa, di conversazioni tra alti dirigenti del governo russo che esultavano e si congratulavano reciprocamente per la vittoria di Trump alle presidenziali. Nè il nuovo leader è parso scosso dalle dimissioni dell’ex capo della Cia James Woolsey, un conservatore che aveva accettato di far parte del suo comitato per la transizione, l’organismo che prepara la presidenza Trump.