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 2017  gennaio 05 Giovedì calendario

I 70 anni del settimanale Spiegel, che Willy Brandt definì «foglio di merda»

«Dieses Scheißblatt» (Questo foglio di merda) disse Willy Brandt nel 1974, e lo Spiegel mette con orgoglio la frase in copertina per festeggiare il compleanno, 70 anni da quel primo numero apparso il 4 gennaio del 1947, prima ancora che nascesse la Repubblica federale, e prima della nascita del Deutsche Mark.
Il prezzo di copertina, un Reichsmark. Stranamente per il numero uno si scelse un personaggio non tedesco, l’ambasciatore austriaco a Washington, il Doktor Kleinwächter e il titolino «Con il cappello in mano innanzi alla Casa Bianca». L’amato Willy si era indignato per le rivelazioni del settimanale sul suo partito, l’Spd, i socialisti tedeschi, che avrebbe organizzato una congiura di palazzo per farlo fuori, come poi avvenne a causa della spia alla Cancelleria (era noto da almeno un anno, a tutti tranne che al cancelliere Nobel per la pace, ma la rivelazione avvenne al momento opportuno).
Lo Spiegel non piaceva neppure al suo successore, Helmut Schmidt, né a Gerhard Schröder, e neppure a Helmut Kohl. Ma tutti sono obbligati a leggerlo, ieri e oggi. Un giudizio negativo, da destra e da sinistra, titolo di merito per la rivista che, nonostante tutto, rimane la più autorevole d’Europa. Il settimanale aveva appoggiato Brandt, e la sua Ostpolitik, però non riteneva di dover censurare una notizia sgradevole. Una lezione di giornalismo.
Rudolf Augstein, di famiglia cattolica, ultimo di sette fratelli, a 24 anni ancora da compiere, ottenne la licenza dagli occupanti inglesi per il nuovo settimanale.
Liberale ma alla tedesca, trasformò Der Spiegel (Lo Specchio), in un cane da guardia della giovane democrazia nata dal III Reich, in un paese in rovina, al di sopra di ogni partito. Nel 1962, a causa delle rivelazioni sui piani di riarmo del ministro della difesa, Franz Josef Strauss, Augstein finì in galera, insieme con alcuni redattori. Uno scandalo mondiale, e Augstein fu liberato dopo 103 giorni. Nel ’72 fu eletto deputato per l’Fdp, il piccolo partito liberale, dopo un anno si dimise perché scoprì che in parlamento svolgeva un lavoro inutile.
Lo intervistai in occasione del 40° compleanno della rivista. L’appuntamento era stato fissato con settimane d’anticipo, e lo rispettò annunciandomi tuttavia che aveva un fortissimo mal di denti. La prima domanda fu per fortuna quella giusta: «Quando ha cominciato ad annoiarsi alla guida dello Spiegel?» Andammo a pranzo e chiacchierammo per tutto il pomeriggio, soprattutto di cose private, quattro mogli (poi cinque), e altrettanti figli. Uno, Jacob, era in realtà dello scrittore Martin Walser, ma lo riconobbe senza drammi. Non scrissi tutto, perché una conversazione privata non è un’intervista, lui si fidò, e io sono un cattivo giornalista, che rispetta la parola data. Augstein morì nel 2002, con lungimiranza lasciò la metà delle azioni dello Spiegel, più una, ai suoi redattori. I giornalisti possono mettere il veto a ogni scelta del direttore e dell’amministrazione, così sono riusciti a salvarsi più di una volta.
Per decenni, la lettura dello Spiegel è stata obbligatoria per chi si occupa dei fatti tedeschi. Ora sempre meno, peccato. Calano le copie, dal record di un milione e 125 mila del 2001, a 800 mila più o meno, diminuiscono i lettori e la pubblicità, quest’anno per la prima volta verranno mandati via una trentina di redattori. Una storica riduzione di personale, sia pure concordata. I giornalisti si battono contro il tentativo di unire redazione cartacea con quella online, vogliono tutelare privilegi o difendere il loro vecchio mestiere? Diverse scelte degli ultimi direttori si sono rivelate sbagliate. Da quando è direttore Klaus Brinkbäumer, dall’inizio del 2015, le vendite sono calate di oltre il 10%, in 27 mila non hanno rinnovato l’abbonamento. Augstein sapeva il perché: quando noi giornalisti cominciamo a preoccuparci della tiratura, mi disse, si perdono i lettori. Un foglio di merda non può piacere a tutti, ma viene comprato se rimane fedele a se stesso.