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 2017  gennaio 04 Mercoledì calendario

Ed, che sorprende i medici a 85 anni. «Corro la maratona in meno di 4 ore»

Da quarantaquattro anni, cioè da quando si è rinfilato le scarpette dopo un buon curriculum da runner al liceo di Coulsdon, distretto di Croydon (Londra Sud), Ed Whitlock – classe 1931 – inanella giri al cimitero di Milton, Canada, dove si trasferì a vivere per studiare ingegneria e calpestare asfalto. A 85 anni e 303 giorni, questo ottuagenario fatto di fil di ferro che davanti a 42.195 metri di corsa si esalta anziché deprimersi è un mistero per la scienza di cui si sono occupate le riviste di settore e il New York Times, incuriosito dal furibondo tempo di Ed alla maratona di Toronto (3h56’34’’) al punto da spedire un reporter in Ontario per frugare tra i segreti dell’erede di Fidippide più anziano, e veloce, del mondo.
Emerso come un totem tra i cimeli e i ninnoli della casa di Milton, Ed si è prima stupito per tanto clamore e poi, ravviando il ciuffo bianco con gesti metodici, ha raccontato la sua esistenza da metronomo a due zampe, sempre uguale a se stessa perché lo sport ad alto livello – e quello praticato da Whitlock lo è – ha bisogno di ripetizioni e pazienza, inspiri ed espiri, un passo dopo l’altro verso il traguardo. «Non ho un allenatore. Non ho un manager. Non ho un fisioterapista. Non ho uno sponsor. E no: non assumo né integratori né doping, se è quello che vi state chiedendo». Ed resta un mistero buffo come il sense of humour, tipicamente inglese, con cui non svela i suoi segreti. Forse perché di segreti non ne ha. «Corro lento, da tre a quattro ore al giorno, intorno al cimitero a cento metri da casa».
Per spiegare i suoi record – detiene le migliori prestazioni mondiali nella maratona a livello dei 70 anni (2h54’48’’), dei 75 (3h04’54’’) e degli 80 (3h15’54’’) e a Toronto lo scorso ottobre è diventato l’atleta più vecchio a chiudere sotto le quattro ore – non basta aggrapparsi a un fisico longilineo (1,70 m per 51 kg) con pochissima massa grassa, a una capacità polmonare fuori dal comune, a un innegabile talento per la corsa che permette a nonno Whitlock di galleggiare sulla strada con un’andatura da keniano bianco e attempato. Quando nel 2012, a 81 anni, l’università McGill di Montreal lo sottopose a una serie di test fisici e mentali, i dottori guardarono uscire Ed dalla porta come un marziano che torna sul suo pianeta: al di là di un eccellente VO2 max, il parametro biologico che esprime il volume massimo di ossigeno che un essere umano può consumare, non c’erano trucchi né enigmi da risolvere nel motore del vecchietto che si tiene in forma spalando la neve in giardino. «Eppure il soggetto presenta minime tracce di invecchiamento» sentenzia il dottor Michael Joyner, esperto di performance. Una foto in bianco e nero sulla credenza del salotto, che ritrae Ed Whitlock in piena azione durante una gara al college, sembra dimostrarlo: il ventenne e l’ultra-ottuagenario sembrano fratelli, non creature separate da più di sessant’anni di storia, decadimento e invecchiamento cellulare.
Tu come te lo spieghi, Ed? «Io penso che non tutto sia spiegabile con la scienza e i numeri. Sono fermamente convinto che le persone possano spingersi molto al di là di ciò che credono di poter fare. Devi solo essere sufficientemente idiota per provarci...» sorride tra mille rughe che si scansano per la meraviglia. Andare oltre. Abbattere le barriere. Immergersi sempre più giù, sotto il già incredibile 9’’58 nei 100 metri (Usain Bolt, 16 agosto 2009) o le 2h02’57’’ della maratona (Dennis Kipruto Kimetto, 28 settembre 2014), i limiti fin qui raggiunti. L’ossessione della sfida è compagna di viaggio nella corsa dell’uomo verso i tabù da sconfiggere. Scendere sotto le due ore nella maratona è la missione che manda in fibrillazione atleti e manager, sponsor e coach, fisiologi e psicologi, ragione e sentimento. C’è chi pensa sia possibile, forse già nel 2017 (la Nike ha varato un progetto ad hoc), e chi ritiene sia una follia, un limite semplicemente invalicabile, di certo non attaccabile prima del 2030 per limiti fisiologici dell’evoluzione umana. Ma ragionarci troppo serve a poco. Conta crederci. E correre, come Ed: «Ci rivediamo a 90 anni». Matusalemme a chi?