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 2017  gennaio 04 Mercoledì calendario

Carlo Verdelli: «Tutto irragionevole. Nella mia vita l’onestà intellettuale è una cosa certa»

La voce di Carlo Verdelli, alle 18.55 di un traumatico pomeriggio Rai, è spezzata e svela l’insostenibile stanchezza e la mole di stress vissuto in questo 3 gennaio 2017: «Nella mia vita se c’è una cosa certa è la coerenza, l’onestà intellettuale» dice di getto. Per poi spiegarsi con una nota: «Considero irragionevole tutto quello che è successo, l’unica cosa ragionevole è rassegnare immediatamente le mie dimissioni nell’interesse dell’azienda. Una persona perbene prende atto che il piano da lui messo a punto viene bocciato perché ritenuto pericoloso e irrealizzabile. Chi lo propone non può che prenderne atto. Non ci può essere un direttore che non ha la fiducia del Consiglio di amministrazione». È la scelta inevitabile di un professionista chiamato dall’esterno della Rai proprio per provare a innestare una cultura diversa nella gestione dell’informazione. Innovando, sperimentando, cercando nuovi itinerari informativi per un’azienda pubblica troppo spesso vissuta dai cittadini-contribuenti come terra di scambi politici, di nomine, di creazione di nuove poltrone per ingraziarsi il Palazzo.
Verdelli aveva già capito quale rotta avrebbe preso questo insolito «consiglio di amministrazione informale», dunque convocato senza una finalità di voto sul suo piano editoriale. Pur essendo «informale» Verdelli non era stato nemmeno invitato per illustrare le scelte che avevano destato la forte perplessità, e in alcuni casi l’aperta ostilità, di gran parte dei consiglieri anche di maggioranza. Inclusa, così sembra certo secondo molte ricostruzioni, la stessa presidente Monica Maggioni, che, da direttore di Rainews ai tempi della direzione generale di Luigi Gubitosi, difese a spada tratta il progetto delle due Newsroom.
Il Tg2 a Milano non è mai piaciuto, è apparso «vecchio». La suddivisione aziendale in cinque macroregioni è sembrata subito come un depotenziamento delle sedi regionali, luogo di potere reale (anche dei referenti politici locali). Il telegiornale da Napoli non ha entusiasmato nemmeno la sinistra. Soprattutto l’unificazione Tgr-Rainews24, per assicurare un flusso di informazione capillare su tutto il territorio, è stata vissuta come uno scardinamento di un’altra corazzata Rai, la Tgr: 800 giornalisti, la più grande testata d’Europa.
Ma sullo sfondo si materializza un’altra crisi, forse ancora più grave. Quella dello stesso direttore generale Antonio Campo Dall’Orto. La quota di canone, dopo l’agganciamento alla bolletta, appare ancora una realtà incerta. Il direttore generale non nasconde più le sue preoccupazioni per la sorte dello stesso piano industriale. Quello, sì, davvero «suo» e che potrebbe trovarsi in serio pericolo se il governo decidesse ulteriori «limature» dopo aver fissato per il canone la quota dei 90 euro. Campo Dall’Orto, insomma, non intenderebbe trascorrere la fase conclusiva del suo mandato, quella che dovrebbe essere più piena e incisiva, semplicemente sopravvivendo e tagliando costi. Da questo punto di vista saranno decisivi i contatti, nei prossimi giorni, col governo e dunque soprattutto col ministero dell’Economia (azionista di riferimento) e il sottosegretario allo Sviluppo Economico, Antonello Giacomelli.
C’è anche da giocare un’altra essenziale partita, il rinnovo della convenzione Stato-Rai per la concessione della titolarità del servizio pubblico, destinata ad avere una durata ventennale. Sarà lo strumento, scaduto in ottobre, in base al quale la Rai riceverà ancora il canone e svolgerà il suo ruolo di servizio pubblico.
Oggi viale Mazzini si ritrova senza un piano per l’informazione proprio mentre il terrorismo assedia il nostro mondo, come dimostrano purtroppo gli attentati di Parigi, Berlino e Istanbul. In più l’incertezza sul piano industriale, sotto rinnovo della concessione, grava come un macigno su qualsiasi progetto futuro. Mai un anno è cominciato sotto peggiori auspici per la tv pubblica, sempre più tallonata da un mondo politico che chiede chiarezza di intenti e osserva con la lente d’ingrandimento qualsiasi mossa, soprattutto dopo l’uscita da palazzo Chigi di Matteo Renzi, l’uomo che ha voluto Campo Dall’Orto alla guida di viale Mazzini.