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 2017  gennaio 04 Mercoledì calendario

Otto letti in uno stanzino. E c’è chi ci guadagna

Certo che si sono messi dalla parte del torto, i profughi di Cona che l’altra notte, nella scia della morte di Sandrine Bakayoko, hanno scatenato disordini e cinto d’assedio un gruppo di operatori. La violenza ha sempre torto. Punto. Difficile tenere i nervi saldi, però, a vivere così. In tendoni malamente riscaldati. Col gelo che morde le orecchie. L’erba che scricchiola sotto le scarpe. Ammucchiati uno sull’altro come bestie. In 1.340 dove dovrebbero stare al massimo in duecento. Difficile.
«Tutti i richiedenti asilo ospitati nella struttura di Cona devono essere espulsi subito. È inconcepibile che nessuno di loro sia stato fermato o denunciato dopo i gravissimi fatti di questa notte», ha tuonato Roberto Calderoli invocando il pugno durissimo contro quella «gentaglia» (copyright Matteo Salvini) «che stiamo mantenendo, ospitando e viziando?».
«Viziando»... Basta andare sulla pagina Facebook di Officiel Italie immigration per vedere quanto viziati e coccolati siano gli uomini e le donne alloggiati in realtà come Cona. «Visitandole, oltre all’odore di marijuana si scopre che è possibile infilare otto letti a castello in uno stanzino, venti se la sala è un po’ più grande, quaranta se tra un letto e l’altro si lasciano pochi centimetri», scriveva pochi mesi fa sul Corriere del Veneto il nostro Andrea Priante, che era riuscito a infiltrarsi («lavorerò sei giorni su sette, dalle 9 del mattino alle 7 di sera. Il pagamento sarà in voucher: 200 euro alla settimana, che togliendo la pausa pranzo fanno 3 euro e 70 centesimi l’ora») nella cooperativa «Ecofficina» che gestisce il centro di Cona.
E spiegava: «Mi diventa subito lampante quale sia il problema più grande: uomini di Paesi, culture e religioni diverse, stipati come polli dentro stanze disadorne, possono trasformare quel posto in una bomba a orologeria. E se finora la situazione non è precipitata, il merito è proprio di chi lavora lì dentro. Eppure le forze in campo sono sproporzionate: durante il giorno, per supportare 530 profughi ci sono tra gli otto e i dieci dipendenti della coop, quasi tutti giovani».
Un medico un giorno la settimana, un infermiere ogni tanto. «A ricevere decine di profughi doloranti siamo in due e nessuno di noi è un dottore e neppure un farmacista. I casi più gravi vengono dirottati nell’ospedale cittadino ma per il resto ci si affida alla nostra (poca, almeno nel mio caso) esperienza. Distribuiamo Buscopan, Ibuprofene, Maalox...». Due medici, dopo il reportage, adesso ci sono. Ma la situazione resta esplosiva. «Come sistemazione per i primi mesi sarebbe ottima», sospira in una intervista su YouTube di aprile il presidente di Ecofficina Gaetano Battocchio, «Ma può andar bene per cento persone, forse duecento... Cinquecento sono troppi. Se c’è una rivolta a Cona s/ciopa tuto. Scoppia tutto». E l’altra sera erano quasi il triplo, rispetto ai troppi...
Se poi si ammassano tanti immigrati appesi al nulla (non un lavoro, non un riferimento, non un obiettivo raggiungibile, non una data cui aggrapparsi...) in una contrada di 190 abitanti a sua volta parte di un paese sparso che non arriva a tremila, si gioca davvero col fuoco. Basta una scintilla... Colpa del governo, accusano Luca Zaia e tanti sindaci (non solo leghisti) segnalando come «emergano tutte le debolezze di questo sistema di accoglienza» e sostenendo che «se la verifica dei requisiti avvenisse in Africa anche i cittadini sarebbero più tranquilli rispetto all’ospitalità». Colpa di chi per bottega politica cavalca le paure, rispondono il prefetto Mario Morcone e il ministero dell’Interno, ricordando di come insistano da mesi, osteggiati, sulla necessità di «sparpagliare i richiedenti asilo in piccoli gruppi in piccole realtà» e che comunque non ha senso invocare filtri in Libia con la Libia messa così...
Fatto sta che il conflitto, duro, finisce per essere incendiato dalle polemiche sui soldi. Un titolo per tutti: «Ai disabili 12 euro al giorno / Ai clandestini 47 + vitto e alloggio. Questo è il peggiore dei razzismi!». È falso perché agli immigranti vanno solo due euro e 50 cent e tutti gli altri vanno a quanti si sono gettati nel business dei profughi, come quel Salvatore Buzzi di Mafia Capitale che intercettato esulta perché «quest’anno, coi profughi e gli zingari, abbiamo chiuso con 40 milioni di fatturato»? Chi se ne importa... I voti non puzzano.
Prendete la stessa cooperativa di Cona: decuplicato in pochi anni il fatturato passando dai rifiuti ai profughi, inquisita dai giudici per il sospetto di avere «ritoccato» delle carte, accusata di pagare pochissimo gli operatori, espulsa da Confcooperative secondo la quale come onlus bada «un po’ poco al sociale è un po’ troppo al business», la «Ecofficina» ha oggi in pugno le ex basi militari di Bagnoli di Sopra (Padova), Cona (Venezia) e Oderzo (Treviso), dove sono alloggiati circa duemilacinquecento migranti. Un affarone, ma può fare fronte a un problema così grosso?
I dubbi sono legittimi. Tanto più che, come racconta nel libro «Profugopoli» lo stesso Mario Giordano, che certo «buonista» e sinistrorso non è, una montagna di soldi sta finendo a «intrallazzatori professionisti, truffatori patentati, trafficanti di immigrati, semplici furbetti di paese, opportunisti dell’ultima ora». Spinti non proprio da carità cristiana. Come Giulio Salvi dell’Hotel Bellevue di Cosio Valtellino: «I turisti erano sempre meno. Ospitare i profughi è il nostro nuovo modello economico. In questo modo ho già incassato 700-800.000 euro...». O Elio Nave, titolare dell’Hotel Quercia di Rovereto, leghista della prima ora: «Non riuscivo a coprire le spese. Avevo già chiuso il ristorante. Se non ci fossero i profughi avrei dovuto chiudere l’albergo». Per non dire dei titolari della società McMulticons che, specializzati in «pulizie civili, industriali, sanificazione ambienti, derattizzazione...», hanno vinto un appalto per ospitare un po’ di immigrati rinchiusi, dice la denuncia, in «un casolare diroccato in aperta campagna a cinque chilometri da Castelfiorentino e lontano da qualsiasi centro abitato» con le «pareti ammuffite, i muri sgretolati, le cucine abbandonate, gli angoli pieni di sporcizia»... Anche quello un hotel a cinque stelle?