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 2017  gennaio 03 Martedì calendario

Wall Street corre verso il record con le incognite sulla «tenuta»

NEW YORK Il «Toro» di Wall Street promette di non arrestare la sua corsa a macinare nuovi record, con l’indice Dow Jones pronto a conquistare l’ormai vicina vetta psicologica dei 20.000 punti. Ma nell’anno appena cominciato questo «spirito animale» del mercato potrebbe inciampare e scartare, o potrebbe quantomeno frenare a pochi punti percentuali una galoppata che ormai continua da quasi otto anni. Complici gli interrogativi sollevati da una nuova amministrazione americana, quella che dal 20 gennaio sarà guidata da Donald Trump, difficile da valutare: se le intenzioni di investimenti, deregulation, riforme fiscali e rivista politica estera e commerciale porteranno in dote la promessa grandezza o piuttosto, come temono i critici, un’assai più effimera grandeur.
È sufficiente aggiungere al cocktail le restanti incognite in gestazione tra la politica monetaria della Federal Reserve e un’economia anch’essa ricca di promesse spesso poi tradite per poter immaginare che la tranquillità difficilmente rimarrà a lungo il sentimento dominante tra gli investitori. Le scommesse degli analisti di banche e broker, in media, rispecchiano un outlook «zen» solo all’apparenza. Reduce da solidi guadagni nel 2016 (DJ in rialzo del 13,4, S&P 500 del 9,5% e Nasdaq del 7,5%), il Bull Market nelle loro sfere di cristallo dovrebbe celebrare il suo ottavo compleanno in marzo in rotta verso un’avanzata… del 4% entro fine anno. L’indice più rappresentativo, lo Standard & Poor’s 500, dovrebbe cioè lievitare in tutto di meno della metà di quanto non abbia fatto nel 2016, accontentandosi di raggiungere quota 2.359 punti.
L’aspetto incoraggiante, per gli investitori, è che nessuno o quasi appare preoccupato che una possibile e forse probabile correzione al ribasso nei prossimi mesi – gli indici hanno marciato un po’ troppo rapidamente negli ultimi due mesi – possa tradursi in un nuovo ciclo ribassista. Meno incoraggiante è il fatto che la miopia sembra ancora un difetto diffuso nel coro dei guru, che hanno dimenticato come a gran maggioranza avessero cantato le odi di disfatte di Borsa qualora Trump fosse stato eletto alla Casa Bianca solo per ricredersi davanti al rally del suo populismo anche in Borsa.
Un breve excursus dei target vede Goldman Sachs, Morgan Stanley, Bank of America Merrill Lynch, Credit Suisse tra i fautori di un mercato a quota 2.300 alla fine dell’anno, con Citigroup che allunga il passo a 2.325. JP Morgan e Barclays si sbilanciano a favore di 2.400 e all’estremo dell’ottimismo si delinea la puntata di RBC Capital, a 2.500 punti.
Lo spettro delle attese è frutto di accenti diversi. «La prospettiva di riduzioni nelle tasse aziendali, di rimpatri di liquidità dall’estero, di tagli nelle regolamentazioni e di stimolo fiscale ha spinto gli investitori a prospettare revisioni positive negli utili per azione delle aziende», ha detto David Kostin di Goldman. Maggior tensione rimarrà però in agguato, soprattutto nella seconda metà dell’anno, sul fronte dei tassi d’interesse, della Fed e dell’economia. Gli strategist di RBC danno invece credito, con Trump, «al più radicale cambio di paradigma da Ronald Reagan», in grado di portare in dote ai profitti un incremento fin del 7% (nonostante dalle elezioni le previsioni medie sulla crescita del fatturato della Corporate America per il 2017 siano state ridimensionate al 4,5% dal 4,8%). I settori che hanno avuto e potrebbero mantenere ruoli d’avanguardia vanno dai titoli finanziari agli industriali. Entrambi sono tuttavia a loro volta soggetti a condizioni: i secondi all’impatto di investimenti infrastrutturali tuttora orfani di un piano. I primi sostenuti da una speranza considerata non necessariamente sana per il mercato: avere le mani più libere da controlli e vincoli post-crisi.