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 2017  gennaio 03 Martedì calendario

Da Torino a Buggerru, la corsa dei municipi a usare voucher nei servizi

ROMA Tra i datori di lavoro che hanno ceduto al fascino dei voucher c’è pure il Comune di Torino, che li userà per pagare alcuni giovani mediatori culturali. Sono ragazzi con meno di 30 anni che dovranno aiutare i cittadini stranieri che si rivolgono agli sportelli, affiancando i dipendenti della città. Per ogni ora di servizio riceveranno un famigerato tagliando da 10 euro lordi (ossia 7,50 euro netti, più tasse e contributi). Una scelta che la giunta a 5 Stelle guidata dalla sindaca Chiara Appendino dice di aver preso a malincuore, per non perdere un finanziamento. Ma non è un caso isolato: gli enti locali che pagano con i voucher sono diversi e a volte lo fanno in modo discutibile.
A Torino la questione ha sollevato polemiche: «La città usa i buoni in modo distorto. Se vuole aiutare i giovani faccia tirocini o contratti a tempo determinato», attacca Enrica Valfrè, segretaria della Cgil provinciale, che chiede alla giunta di ritirare il bando e di impegnarsi a non utilizzare mai più i buoni. Marco Giusta, assessore all’Integrazione, dice di essere contrario all’uso e soprattutto all’abuso di voucher, ma spiega che il bando deriva da una delibera della giunta Fassino e che in ballo ci sono 35 mila euro stanziati dalla Compagnia di San Paolo: «Non trovo giusto rinunciare al finanziamento e non lo troverebbero giusto neppure i giovani che avranno l’occasione di sperimentare questo percorso. Guardando al futuro, però, questa è l’occasione per un confronto sull’utilizzo di questi strumenti». I voucher erano nati per far emergere il lavoro nero, ma in molti casi si sono trasformati in una forma estrema di precariato. E non sono apprezzati solo dagli imprenditori. Basta dare un’occhiata agli albi pretori per scoprire che pure i Comuni ne fanno uso, spesso come forma di sostegno al reddito. Per esempio, il paesino sardo di Buggerru li distribuisce ai cittadini in difficoltà in cambio di piccole manutenzioni, ma pure di attività cui «l’ente non riesce ad adempiere attraverso il proprio personale». Anche Beinette, nel cuneese, o Castiglione Chiavarese, nel genovese, fanno altrettanto, coinvolgendo pensionati e studenti in vacanza. La stessa Compagnia di San Paolo ha siglato accordi con 24 Comuni e così distribuisce ad associazioni del terzo settore 2,5 milioni di euro l’anno sotto forma di voucher. Daniela Gregnanin, coordinatrice dell’area Inclusione, spiega che le iniziative funzionano: «Così le persone svantaggiate hanno un sostegno al reddito e aumentano la propria occupabilità». Per questo la fondazione scriverà al ministro Poletti: «Troppe restrizioni sui voucher causerebbero conseguenze importanti sui nostri progetti».
Non sempre però gli enti locali sfruttano i buoni in modo virtuoso. Possono farlo, perché le norme lo consentono, nei limiti dei tetti previsti per i privati (2 mila euro annui da un solo committente, 7 mila in totale). Però si creano anche casi come quello molto diffuso in Campania, nella province di Napoli e Caserta e non solo, in cui l’assistenza sociale a disabili e anziani viene remunerata con i ticket. A Cavriago, in provincia di Reggio Emilia, l’amministrazione di centrosinistra vorrebbe due disoccupati voucheristi per l’ufficio tributi: lavoro occasionale? Il sindaco pd di Poppi, provincia di Arezzo, li cerca laureati in scienze storiche per digitalizzare le filze antiche di quattro secoli dell’archivio, alla faccia del lavoretto. Ad Assisi, l’ex amministrazione di centrodestra, ha provato ad escludere gli extracomunitari dal bando per addetti alle manifestazioni culturali e religiose, suscitando una rivolta in città. Poi la giunta è caduta e dopo vent’anni è tornato il centrosinistra.