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 2017  gennaio 03 Martedì calendario

Quasi 5 milioni di indigenti. Raddoppiati in otto anni

ROMA Dalle famiglie più numerose a quelle con un solo figlio. Dal Mezzogiorno verso le grandi città del Centro e del Nord. Dagli adulti ai più giovani, penalizzati dalla carenza di lavoro. Si è allargata a macchia d’olio la povertà in Italia, durante questa crisi senza fine. Se nel 2007, prima della grande recessione, erano 1,8 milioni le persone sotto la soglia di indigenza assoluta calcolata dall’Istat, nel 2015 quel numero è più che raddoppiato: 1 milione e 582 mila famiglie, pari a 4 milioni e 598 mila cittadini, il 7,6% della popolazione. Prima, la povertà toccava solo alcune parti della nostra società, ora le raggiunge tutte. Ha risparmiato solo i più anziani, i nuclei con capofamiglia sopra i 65 anni. Ma ha travolto le nuove generazioni: lì dove il capofamiglia ha meno di 44 anni è salita in otto anni dal 3,2 all’8,1%; dove ha meno di 34 anni si è impennata dall’1,9 al 10,2%. In quelle case vivono oltre un milione di minorenni per cui ogni mese è a rischio l’accesso ai beni di prima necessità.
Bambini e ragazzi: il reddito di inclusione che il governo vuole introdurre parte da loro. Un assegno mensile del valore massimo di 400 euro per famiglia che cerca di uscire dalla logica dell’assistenzialismo, chiedendo ai beneficiari di impegnarsi nella formazione e nella ricerca un impiego, e di far rispettare ai figli gli obblighi di frequenza scolastica. Testato nel 2013 dal governo Letta in dodici grandi città, l’anno scorso la sperimentazione è stata estesa dal governo Renzi sotto l’etichetta di sostegno per l’inclusione attiva, con risorse per 750 milioni. L’esecutivo ora vuole rendere il reddito di inclusione strutturale dal 2017, accelerando l’iter della delega in Senato o agendo con un decreto. Lo stanziamento già nero su bianco di oltre un miliardo permetterà di allargare la platea dei beneficiari. Nel 2016 l’assegno, 80 euro al mese per ogni componente della famiglia, doveva raggiungere circa 200 mila nuclei con reddito Isee inferiore ai 3mila euro l’anno, e almeno un figlio minorenne. Fanno poco più di 800 mila individui, di cui la metà under 18. Con le risorse extra quei numeri potrebbero salire della metà.
Ma non basterà ancora per sostenere tutti i minori in povertà. E tanto meno permetterà di raggiungere l’intera platea delle famiglie in difficoltà. Secondo i calcoli dell’Alleanza contro la povertà, il gruppo di 35 associazioni che per primo ha proposto il reddito universale di inclusione, presente in quasi tutta Europa tranne Italia e Grecia, anche con 1 miliardo e mezzo si coprirebbe solo il 30% dei nuclei. Per renderlo strutturale ci vorrebbero circa 7 miliardi l’anno, lo 0,4% del Pil. Più o meno la distanza che oggi corre tra la spesa pubblica destinata alla lotta contro la povertà in Italia (lo 0,1% del Pil) e la media comunitaria (0,4%).
Una sproporzione enorme a fronte di un’emergenza che, scrive l’Alleanza in un recente documento, neppure una ripresa più decisa permetterebbe di superare, in mancanza di interventi specifici contro l’esclusione. L’associazione, di cui fanno parte anche sindacati e Anci, raccomanda una crescita progressiva dei fondi per portare il reddito a regime nel 2019. Il soldi stanziati aumentano, ma con ritardo. Senza considerare che molta della sua efficacia nell’accompagnare al lavoro gli adulti inattivi dipende dalla qualità dei servizi di welfare e per l’impiego, del tutto disomogenea sul territorio italiano: «Il punto decisivo è fornire ai soggetti locali, a partire dai Comuni, gli strumenti per poter concretamente lavorare all’inclusione degli utenti», scrive l’Alleanza. Di risorse in questo senso, per ora, non c’è traccia.