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 2017  gennaio 02 Lunedì calendario

Quei calciatori da 300 euro al mese, com’è lontana la Cina dei nababbi

Il capodanno cinese deve ancora arrivare, ma i 94 milioni di euro offerti al Chelsea per Diego Costa dal Tianjin Quanjian, il club di Fabio Cannavaro, hanno battezzato il 2017 delle nuove follie orientali, prefigurate a Repubblica. it dall’ex ct del Brasile Scolari, allenatore del Guangzhou Evergrande: «Dopo Oscar e Tevez, la corsa al fuoriclasse continuerà. Io, però, non chiedo rinforzi. E tra due anni gli investimenti nella Super League cinese caleranno». Profezia a parte, l’apparenza inganna. Lo stato di salute economica del calcio mondiale, segnato da profonde sperequazioni, non ha certo come paradigma le pazzie dell’Asia più ricca: Cannavaro stesso ha appena vinto, grazie all’intervento della Fifa, la causa contro l’Al Nassr, il club saudita da lui abbandonato perché, in concomitanza con la crisi petrolifera, non pagava gli stipendi.
Il calcio globalizzato ha contraddizioni enormi, come attesta il ricorso pendente dal 2015 presso il commissario europeo alla concorrenza – la danese Vestager – presentato dalla Fifpro, il sindacato mondiale calciatori, contro le attuali regole del mercato, discriminatorie verso i paesi, i club e i calciatori più deboli. La Fifpro nel frattempo ha pubblicato il Global Employment report, la più ampia indagine mai realizzata sulle condizioni di lavoro dei calciatori professionisti (oltre 51 milioni quelli registrati). Lo studio dell’università di Manchester sui 13.876 questionari anonimi distribuiti da 54 associazioni sindacali nazionali di 87 leghe (non hanno partecipato Germania, Spagna e Inghilterra), rivela che l’élite dei privilegiati i calciatori delle 5 leghe più ricche (Premier, Bundesliga, Liga, Serie A e Ligue 1), più alcuni eletti dei campionati nordamericani, sudamericani e appunto cinesi – è ristrettissima. Un’altra minoranza con stipendi dignitosi gioca in Scandinavia, Australia, Usa, Giappone e in qualche club sudamericano e messicano. La grande maggioranza, invece, sopravvive in precarie condizioni di lavoro, con abusi personali e contrattuali, nell’Europa dell’Est, in Africa, Asia, America del Sud e Latina. Il 21 % dei calciatori professionisti guadagna meno di 300 dollari al mese, il 45% meno di 1000. Al 41% (il 35% in Europa) lo stipendio viene pagato in ritardo, fino a oltre un anno. Il 29% è costretto a cambiare club contro la propria volontà: in Serbia l’ 82% ha subito pressioni da agenti o terze parti e a sorpresa in Danimarca e Svizzera più del 40% è stato obbligato a trasferirsi. Molti contratti vengono stipulati sotto forma di diritti d’immagine o di collaborazione, per eludere il fisco o per non pagare il welfare: in Polonia nel 34% dei casi. Il 22% conferma che il metodo classico, per non rispettare il contratto, è la collocazione fuori rosa. I calciatori sono 5 volte più soggetti degli altri lavoratori a violenza fisica (il 10%), minacce (16), bullismo o molestie (16) e discriminazioni (7,5), per lo più da parte di tifosi (55). Per chi gioca da straniero le discriminazioni razziali o xenofobe salgono al 18%. Tra i giovani fino ai 22 anni l’1,4% non finisce la scuola primaria, l’8,9 ha un diploma di scuola primaria e il 14,7 di formazione professionale. La media di chi è stato avvicinato per un tentativo di combine è di 1 giocatore su 11 e il 51% aveva problemi di stipendio.
Dalla Coppa d’Africa, al via in Gabon tra 12 giorni, parte la denuncia di Drogba, presidente onorario della Fifpro africana: «Da noi l’assistenza medica non è mai assicurata». Il Gabon, tra l’altro, è il paese con i maggiori ritardi negli stipendi: tema notissimo in Italia. Risolta dopo sei mesi di patimenti la vicenda del Pisa in serie B, in Lega Pro il Como è fallito e Lucchese, Casertana e Maceratese hanno subito penalizzazioni, mentre tra i Dilettanti l’ex nobile Treviso vive sul filo. Come la maggioranza del calcio, se si sgonfia l’apparenza.