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 2017  gennaio 02 Lunedì calendario

Un nocciolo di soci italiani al fianco di Mediaset

«I due campi passeranno Natale in famiglia. Un riposo meritato prima di cominciare, a inizio 2017, il terzo atto di questa opera tragica»: ripercorrendo la battaglia tra la francese Vivendi e Fininvest per il controllo di Mediaset, si concludeva così, pochi giorni fa, una lunga ricostruzione del quotidiano francese Le Figaro sulla scalata al gruppo tv italiano.
Oggi che riapre la Borsa dopo la pausa di fine anno, si rivedranno i movimenti delle truppe schierate, anche se dopo il blitz che dal 12 dicembre in due settimane e grazie alla banca Natixis ha portato il gruppo di Vincent Bolloré dal 3% al 29,77% dei diritti di voto nel Biscione, a Piazza Affari sono rimaste ben poche azioni da conquistare. Si cominciano quindi a fare i conti con i possibili alleati. E Silvio Berlusconi, che essendosi portato dal 34% al 39,7% di Mediaset non può incrementare ancora la quota di Fininvest fino al prossimo aprile senza dovere lanciare un’opa, potrebbe trovarsi accanto i «comitati per l’italianità di Mediaset». Era stato lo stesso Cavaliere a coniare la definizione per questi azionisti del gruppo di Cologno Monzese: «Per arrivare al 51% io spero che quei comitati per la difesa dell’italianità di Mediaset possano portarci a contare sul voto di circa il 20% delle azioni che sono nelle mani di differenti azionisti», aveva detto lo scorso 21 dicembre durante la presentazione del libro di Bruno Vespa. Era la dichiarazione di un pericolo imminente: appena pochi giorni dopo Vivendi incrementava ulteriormente la quota fino alla soglia massima consentita prima dell’opa obbligatoria (che peraltro i francesi non hanno mai escluso di potere lanciare).
Soci storici
Allora, la chiamata a difesa di Mediaset era sembrata una boutade. Nessuno aveva mai sentito parlare dei «comitati» per Mediaset italiana. Eppure qualcosa di vero ci sarebbe. Secondo fonti a conoscenza della situazione, Berlusconi sarebbe stato direttamente contattato da alcuni azionisti, piccoli soci ma anche con quote corpose, che si sono detti pronti a sostenere le posizioni di Fininvest. Si tratterebbe in particolare di soci storici, gente che è dentro il capitale del gruppo televisivo fin dai tempi della quotazione di ormai vent’anni fa, uno sbarco in Borsa guidato allora da Banca di Roma e Banca Imi. A conti fatti, in questo modo la famiglia Berlusconi avrebbe dalla sua un esercito ausiliario che porterebbe il fronte italiano in maggioranza assoluta dentro Mediaset, così da neutralizzare le mosse dei francesi.
A Londra
Gennaio si annuncia dunque come un mese molto caldo per il controllo del gruppo. Vivendi non ha ancora dato indicazioni puntuali sulla strategia che vuole seguire né ha fatto capire se in questa partita sarà prima o poi coinvolta Telecom Italia, di cui Vivendi è primo azionista con il 24,7%. Arnauld de Puyfontaine, amministratore delegato del colosso francese che controlla fra le altre cose la pay tv Canal+, ha solo dichiarato pochi giorni fa al Corriere della Sera che «l’obiettivo finale è un’alleanza per creare una media company europea di dimensioni mondiali, con un approccio latino e contenuti di grande qualità, in grado di competere con giganti come Amazon Prime e Netflix».
Il gruppo guidato da Pier Silvio Berlusconi invece si prepara ad illustrare agli investitori internazionali – erano quasi 700 i fondi presenti nel capitale di Mediaset, lo scorso aprile – il piano industriale per il prossimo triennio, fino al 2020. L’appuntamento è per metà mese a Londra. Un incontro rinviato per mesi a causa degli scontri con Vivendi, tra ricorsi al tribunale, esposti a Consob e Procura di Milano e richieste per 1,5 miliardi di euro di danni per l’aver stracciato il contratto di alleanza su Premium (la causa contro quello che Berlusconi considera l’inizio del «tradimento» di Bolloré comincia il 21 marzo).
Lì si capirà dove vuole andare Mediaset, quali siano le strategie e le proposte sulla tv a pagamento, su quella tradizionale free, su tutto il mondo «over the top» cioè le offerte Internet, le radio e così via. Ma anche quali siano le strade per resistere all’assedio di Vivendi o se invece sarà inevitabile negoziare un accordo, come vuole Bolloré. Qualche casa d’affari ha ipotizzato che Mediaset potrebbe mettere sul mercato Premium in modo da sottrarla al possibile bottino dei francesi. Altri analisti vedono come possibile un qualche tipo di accordo, come per esempio Mediobanca Securities. Di certo c’è che in questa battaglia Berlusconi può contare sul sostegno del mondo politico italiano, a cominciare dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ma anche di due colossi della finanza come Intesa Sanpaolo e Unicredit.
L’assemblea
È possibile che alla fine i francesi non lancino l’opa: costerebbe fino a 7 miliardi di euro, dovendo essere estesa a cascata su Mediaset Espana e su Ei Towers. Ma potrebbero cominciare un pressing sul gruppo per costringere i Berlusconi a sedersi al tavolo. Una mossa che nel gruppo tv si attendono è che Vivendi chieda la convocazione di un’assemblea per ampliare i posti nel consiglio di amministrazione che scade nel 2018: oggi sono 17 ma possono arrivare a 21.
Ma un conto è proporre, un altro è approvare. Lì serve la maggioranza delle azioni. E se al 40% dei voti di Fininvest si aggiungessero anche quelli dei «comitati» degli amici di Berlusconi, l’assalto francese potrebbe essere respinto. Ma ci sono altre truppe sulle quali Bolloré può contare? La scalata a Mediaset ha fatto impennare il titolo dell’80% in un solo mese a 4,11 euro per una capitalizzazione totale di 4,8 miliardi ma ha anche fatto passare di mano più del 52% delle azioni, metà delle quali ancora senza un destinatario dichiarato. Potrebbero anche essere state costruite posizioni attraverso opzioni o derivati, che quindi non appaiono immediatamente. La Consob sta comunque monitorando le mosse sul titolo. Resta che ormai il flottante di Mediaset è molto scarso: se si esclude il 70% in mano ai due contendenti e il 15% circa controllato da fondi istituzionali stabili, il resto è in mano ai piccoli azionisti, il cosiddetto retail. Tra questi ci sarebbero i «comitati». Pronti alla guerra di trincea.