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 2016  dicembre 07 Mercoledì calendario

Aumento da 13 miliardi. Unicredit tira dritto. «È un numero fortunato»

MILANO «Tredici è un numero fortunato». Così ieri al 30° piano della torre A di Unicredit, dove sta la sala del consiglio di amministrazione, commentavano la Smorfia giornaliera. Azione in rialzo del 13% in Borsa, conferma che il piano strategico sarà presentato martedì 13 a Londra e sarà centrato sull’aumento di capitale di ben 13 miliardi, malgrado la caduta del governo Renzi. Perché, rivela un consigliere al termine della riunione pomeridiana, «l’ad Jean Pierre Mustier ha ribadito che il piano di revisione della banca non teme le attuali condizioni dei mercati».
Non è intuitivo che una ricapitalizzazione di ammontare identico a quello della maggior banca italiana faccia brindare Piazza Affari: forse ha giovato l’atmosfera cooperativa che tra regolatori e cancellerie d’Europa si è stesa come una rete sul comparto dopo la vittoria del No al referendum. Certo giova che il management di Unicredit non si mostri in balia di oscillazioni dei prezzi e umori di chi investe. Mustier, che ieri ha fornito un’informativa sul piano per ripristinare la solidità patrimoniale ai consiglieri dell’istituto, è descritto come chi incede come danzando tra le insidie dei listini e le perplessità dei soci forti. Come le Fondazioni, che hanno in mano un 8-9% delle quote e si diluiranno, non avendo più quel miliardo che servirebbe a mantenerle.
Presto la voce degli enti ex bancari sarà flebile, rispetto a quella degli istituzionali anglosassoni, già oggi detentori del 66% del capitale. Tra questi è atteso a un ruolo forte Capital Research, maxi fondo Usa a “gestione passiva”, che cerca aziende sottovalutate per lucrare sull’incremento delle loro azioni, più che sulle forti cedole. Il fondo pensione Usa gestisce 1.390 miliardi di dollari, e nel corso della ricapitalizzazione – prevista in febbraio – la sua quota in Unicredit potrebbe anche salire verso il 10%. Una scommessa sull’effettiva ristrutturazione della banca, che dal 2008 non trova pace tra richieste di denaro ai soci e svalutazioni di crediti. Anche se il clima finanziario è quel che è, Mustier da settimane ha maturato la scelta di “go big”, e risolvere una volta per tutte la non eccelsa quantità patrimoniale e qualità creditizia di Unicredit (c’è in arrivo anche una vendita di sofferenze per 4 miliardi). Nei sei giorni che lo separano dall’annuncio del nuovo piano l’ad dovrebbe completare i tasselli accessori. Come la vendita dei fondi Pioneer ai francesi di Amundi, a un prezzo sui 3,5 miliardi che dovrebbe consentire di erogare cassa in forma di cedola straordinaria ai soci fino a 800 milioni (uno spunto per i rialzisti ieri). È impossibile dire se l’annuncio della trattativa esclusiva con i francesi lunedì abbia sfruttato la contemporanea uscita di scena di Matteo Renzi, fautore del progetto rivale imperniato su Poste e Cdp per tenere i 220 miliardi gestiti da Pioneer in Italia; né se il buon esito del negoziato dipenda dall’assenza di un governo a Roma. Il nuovo capo parigino è convinto che Unicredit potrà incassare più commissioni mettendo in comune la rete distributiva dei fondi con il loro leader europeo (che lui stesso contribuì a creare, quando stava in SocGen). E ritiene che dopo la vendita non sarà Pioneer a diventare francese «ma Amundi a diventare italiana», per l’aggiunta di 30 miliardi in Btp ai 50 custoditi dalla società del Credit Agricole, a farne il primo investitore nel debito tricolore. Vedremo in futuro con quanta costanza.
Altro dossier in rifinitura riguarda Bank Pekao, la bandierina polacca che si è deciso di sacrificare per l’alta valutazione e le leggi autarchiche del governo di Varsavia, che rendono sempre più difficile realizzare sinergie transfrontaliere per l’unica banca, insieme a Bnp Paribas, davvero europea. Uno status che la Bce caldeggia e Unicredit intende difendere, trovandolo molto più foriero di benefici che di costi. Un’altra francese sul cammino di Mustier? Secondo un consigliere che ascoltava ieri l’ad, il piano in arrivo non prevede fusioni, con banche francesi o con altre: casomai «piccole acquisizioni in paesi con quote di mercato ridotte, come Austria e Germania».