Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  dicembre 07 Mercoledì calendario

La strage (sfiorata) in pizzeria. Se la falsa notizia crea giustizieri

NEW YORK In America la discussione sugli effetti perversi delle notizie false diffuse sui social media, le insinuazioni prive di riscontri fattuali che attirano più attenzione delle notizie reali, verificate, monta ogni giorno di più. La stampa denuncia il carattere «virale» della disinformazione costruita a tavolino, l’università di Stanford pubblica uno studio dal quale emerge che gli adolescenti – studenti di medie, liceo e college – non sanno distinguere le informazioni vere dai falsi costruiti ad arte e nemmeno comprendono bene la differenza tra notizie giornalistiche e messaggi promozionali. Ma a destra i fan di Trump obiettano che l’improvvisa attenzione per i «fake», i falsi online, dopo la vittoria elettorale del candidato repubblicano, è solo un estremo tentativo dei media tradizionali di nascondere i propri errori e delegittimare il neopresidente.
Eppure quando, domenica, un uomo si è presentato armi in pugno e ha cominciato a sparare in una pizzeria di Washington trasformata da informazioni false messe in rete nella centrale di un racket di pedofili legato a Hillary Clinton e al Partito democratico, è divenuto evidente a tutti che, a furia di diffondere calunnie e notizie false per delegittimare un avversario politico, si possono alimentare situazioni pericolosissime, rischi mortali.
Beh, non proprio a tutti: la cosa più impressionante di questo nuovo episodio dell’era della post verità è che, anche davanti all’evidenza delle conseguenze nefaste di campagne calunniose, c’è chi ha continuato a sostenere, in odio ai «mainstream media» più che alla Clinton ormai uscita di scena, che il racket pedofilo della pizzeria Comet Ping Pong è reale. L’uomo che ha aperto il fuoco (senza uccidere), sarebbe un attore reclutato per confondere le acque.
Quello del «Pizzagate» di Washington è un caso molto significativo perché, al di là dell’effetto dirompente di falsità e teorie cospirative, mostra la posizione sempre più difficile nella quale si vengono a trovare i media tradizionali: giornali, tv e anche i siti più consolidati e credibili stanno passando da una condizione di minor rilevanza a fronte della cresciuta impetuosa del «citizen journalism» a quella di bersaglio di una contestazione globale nella quale sono loro a finire sul banco degli imputati, anche quando cercano solo di ristabilire la verità dei fatti.
Nel caso delle accuse alla Comet Ping Pong (avrebbe fornito prostitute e anche bambini-schiavi a funzionari democratici che formulavano le loro richieste sotto forma di ordinazioni di cibo usando un linguaggio cifrato), molte pubblicazioni come il New York Times e il Washington Post avevano dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che le storie diffuse in rete erano totalmente inventate.
Ma quelle storie hanno continuato a circolare. In qualche caso (ma non in quello della Comet Ping Pong), le accuse di pedofilia legate alla Clinton sono state rilanciate anche da personaggi di spicco del team Trump come il generale Michael Flynn, ora scelto dal neopresidente come consigliere per la sicurezza nazionale. La pizzeria è diventata bersaglio di minacce di ogni tipo, presto allargatesi anche ai negozi circostanti, mentre le accuse inventate rimbalzavano da un sito all’altro in base all’effetto della «echo chamber». Accuse rilanciate a un certo punto anche da un sedicente deputato della Georgia, Steven Smith. Che poi si è scoperto essere, in realtà, un avvocato della Florida che con questo stratagemma si è costruito un seguito di 24 mila follower. Una volta scoperto, se l’è cavata dicendo che chi lo segue sa che la sua è una parodia.
Non deve essere parsa tale a Edgar Welch, descritto dai vicini come un padre adorabile, amante delle scalate e devoto ai valori familiari, partito in auto dal North Carolina per andare a fare il giustiziere nella pizzeria di Washington. I fatti parlano chiaro ma per molti non contano più. Conta di più l’odio per la stampa, demonizzata (e usata) da Trump durante tutta la campagna elettorale. Una stampa che ora, col Partito democratico annichilito da una sconfitta elettorale micidiale su tutti i fronti – Casa Bianca, Camera, Senato, governatori – appare a molti il vero nemico politico del nuovo presidente.