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 2016  dicembre 05 Lunedì calendario

«Il mio oro, i miei incubi e questi giovani talenti che non si sacrificano». Intervista a Gregorio Paltrinieri

Confida. «Ho gli incubi. Da quando ho vinto l’oro a Rio. Mi sveglio come se mi stessi preparando alla finale. Nel sogno sono ancora in camera, al villaggio olimpico, e so che il giorno dopo avrò la gara. Nell’incubo non riesco a stare fermo, sono pieno di adrenalina».
Sorride, Gregorio Paltrinieri. Rio, i Giochi, la medaglia e l’oro sono lontani quasi quattro mesi però dietro i luccichii del trionfo ci sono le scorie. Qualcosa gli è rimasto addosso. «Credetemi, la tensione che avevo alle Olimpiadi è indescrivibile. Magari dal di fuori sembravo sempre molto distaccato e tranquillo, ma dentro... non avete idea. Ancora adesso mi chiedo come abbia fatto a reggere tutto. Mentre nuotavo la finale mi ripetevo in continuazione non pensare a niente, fai come se fossi a un campionato regionale».
In effetti dicevamo tutti ah, però domenica tocca a Greg, medaglia sicura, vittoria sicura, quelle cose lì...
«Sì, e io percepivo il clima attorno a me del tipo vabbé la nazionale sta andando male però l’ultimo giorno c’è Greg. Siamo a posto, pensavo. E aumentavano adrenalina e tensione».
Sarà diverso nei 1500 di domenica prossima a Windsor, Canada, i mondiali vasca corta al via domani.
«Ho iniziato tardi la preparazione, quel che viene viene. Ma proverò a dare il massimo come sempre».
L’incubo ricorrente, la tensione a mille di un’intera nazione sportiva sulle spalle, che ne pensi del ritiro a sorpresa di Rosberg un attimo dopo aver realizzato il sogno della vita?
«Io stravedo per Hamilton, però Rosberg mi è davvero piaciuto. E poi ho letto la lettera che ha scritto, il modo in cui ha sottolineato quanto sia stata dura per lui. Sarebbe da premiare per questa onestà. Non credo sia il più talentuoso ma ha meritato tutto. Un vero combattente. Quanto al ritiro, condivido la sua decisione e ne ammiro il coraggio».
Tu riusciresti mai?
«Quando ci si sente soddisfatti di quel che si è fatto e dentro cresce il desiderio di provare nuove emozioni, è giusto cambiare».
Per questo i 10.000 in acque libere alle prossime olimpiadi, per questo l’università quest’anno?
«Sì, mi stimolano parecchio. Per staccare coi 1500. Non è che non abbia più voglia di farli, ma voglio affiancarli con una specialità nuova e divertente in cui penso di poter fare bene. Poi, certo, se libero la mia parte competitiva dico che ai Giochi di Tokyo vorrei vincere due ori».
E lo studente?
«Scienze politiche, a Roma. Mi è sempre piaciuto studiare. Sto preparando Storia contemporanea ed Economia politica».
A Tokyo da dottore, dunque.
«Dura. Ma se c’è una cosa che mi è mancata in questi anni è lo studio, imparare cose. È figo vivere l’università, lo capisco quando vedo i miei amici che si mettono sui libri».
Saresti il sogno di ogni genitore.
«Per quanto mi piacciano il nuoto e la vita da nuotatore, man mano che cresco avverto il bisogno di qualcosa di extra. Come lo studio».
Negli Stati Uniti i college sono organizzati e arruolano atleti di livello mondiale.
«L’approccio allo sport americano, quello della vita di college, mi piace. Ho iniziato a ricevere offerte nel 2012, avevo 17 anni... Però adesso, facendo l’università, riesco a svagare un po’ dal nuoto per cui va bene così».
Dopo Rio, visti i risultati, è passato il messaggio che molte nuove leve si accontentino.
«Quel che per me sbagliano molti atleti italiani è che arrivano alla vigilia della loro gara alle olimpiadi sentendosi già soddisfatti per il solo fatto di essere ai Giochi, di aver preso il kit della nazionale, di fare i selfie con Phelps nella mensa del villaggio. Credo che molte volte manchi il salto di qualità».
Tuo padre la chiama visione. L’avevi già da bambino, quello che non si accontenta mai.
«Per me è normale così. Oggi si dice quello è giovane, ha 17-18 anni, deve crescere. Ma non voglio trovarmi un giorno a dire ah, io sono andato alle olimpiadi a 17 anni.... Voglio poter dire a 21 le ho vinte. Invece mi sembra che molti giovani si adagino, come se la nazionale fosse il punto di arrivo».
Si dice anche che molti talenti siano restii a lasciare casa, a trasferirsi nei centri federali. C’è chi parla di bamboccioni.
«Sì, è vero. Io sono andato via da casa a 16 anni. Non sapevo nulla se non che volevo provarci. Adesso sembra quasi che si vogliano scusare i ragazzi per certe prestazioni... perché devono crescere»
Il primo giorno lontano da casa?
«Ricordo la prima sera. Sdraiato sul letto, a fissare il soffitto e a domandarmi che cosa avevo fatto. Fin lì ero stato via da casa 3, 6 giorni al massimo. Ora sarebbero stati anni».
La Pellegrini introversa, tu solare, spontaneo.
«È quello che sono. Io voglio divertirmi in quel che faccio e lo sport mi piace così tanto che non riesco neppure a odiare l’avversario».
Ma sei in grado di odiare te stesso?
«Molto più che gli altri. Perché la prima sfida è con me. Non sono mai soddisfatto, mi dico porca vacca hai sbagliato qui e là...».
Che cosa ti ha detto il tuo tecnico, Stefano Morini, alla ripresa della stagione?
«Mi piace il rispetto che c’è tra noi. Mi ha detto che voleva portare avanti la collaborazione per altri 4 anni, fino a Tokyo, mi ha detto non siamo neppure a metà di quel che possiamo fare, mi ha detto anche un tempo sui 1500. Ma non lo posso svelare».