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 2016  dicembre 05 Lunedì calendario

Speculazioni «fotocopia» per tutte le elezioni

Cos’hanno in comune l’elezione di Donald Trump, Brexit e il referendum costituzionale italiano? Nulla. Se non l’andamento “fotocopia” dei mercati finanziari: in tutti e tre i casi la speculazione ribassista è stata infatti violenta per tutto il mese precedente al voto, e in tutti e tre i casi le Borse sono rimbalzate nei giorni a ridosso dell’appuntamento elettorale. Come se i mercati non avessero colto le differenze – profonde – tra i tre appuntamenti elettorali. I tre eventi, nel mese prcedente, sono stati vissuti in Borsa nello stesso modo per un semplice motivo: perché la speculazione si è mossa secondo schemi “fotocopia” ben precisi prima del voto. E, con tempi diversi per Trump e Brexit, anche dopo il voto. Vedremo da oggi se accadrà anche nel caso italiano.
Se si va ad analizzare il comportamento degli investitori nelle tre occasioni, si capisce anche il motivo degli andamenti “fotocopia” delle tre Borse. Solitamente gli investitori di lungo periodo (fondi pensione, assicurazioni, ma anche fondi comuni) non si sbilanciano prima di appuntamenti elettorali di questo tipo: forse alleggeriscono un po’ l’esposizione sui Paesi interessati dal voto, ma non vanno certo a “scommettere”
in Borsa su un esito del voto piuttosto che un altro. Questo è invece il lavoro degli hedge fund e degli investitori di più breve periodo: quelli che cercano opportunità al rialzo o al ribasso nei vari mercati. Ebbene: non esiste probabilmente nulla di meglio che un evento elettorale molto incerto, accompagnato da report di banche d’affari e articoli di giornali internazionali dai toni allarmistici, per giocare un po’ sui mercati finanziari.
Man mano che l’appuntamento elettorale si avvicina, dunque, la speculazione tende ad accumulare posizioni “corte”: cioè a scommettere sul ribasso delle Borse e/o dei titoli di Stato e/o delle valute. Ogni sondaggio che avvantaggia l’esito elettorale ritenuto, a torto o ragione, meno gradito ai mercati (Brexit, Trump o il «no» nel referendum italiano) diventa insomma il pretesto per accumulare posizioni ribassiste. I pochi numeri disponibili sul mercato lo dimostrano. È per esempio accertato che tra metà ottobre e il 25 di novembre la speculazione ribassista sui titoli di Stato italiani da parte degli hedge fund sia stata elevatissima: secondo Alok Modi, capo del desk bond governativi di Morgan Stanley, su una scala da uno a 10 gli hedge fund sono stati ribassisti a un livello di nove. Per questo in quel periodo la Borsa crollava e lo spread dei titoli di Stato saliva. Certo, l’Italia (e le sue banche soprattutto) ha un sacco di problemi. Se non li avesse, la speculazione non troverebbe terreno così fertile. Ma l’appuntamento elettorale è diventato il pretesto per giocare sopra queste arcinote fragilità.
Poi, però, quando si arriva a ridosso del voto, gli hedge fund decidono solitamente che è meglio mollare (o quantomeno allentare) il colpo. Perché i sondaggi in tutte e tre le occasioni si sono fatti alla fine più incerti: Trump rimontava, Brexit e «remain» erano appaiate, il «sì» e il «no» sembravano sempre più vicini. Ma soprattutto perché gli hedge fund tendono a non farsi trovare eccessivamente sbilanciati nel momento in cui si arriva davvero a un voto così incerto. Ecco perché in tutti e tre i casi, a ridosso del voto come si vede nel grafico sotto, le Borse di Londra, New York e Milano (pur in maniera differente) sono rimbalzate.
E dopo l’esito elettorale? In un primo momento reagiscono gli algoritmi pre-impostati. Già ieri sera, ai primi exit poll, l’euro è crollato sul dollaro: la reazione, per quei pochi mercati aperti di domenica notte, è stata dunque immediata e forte. Come è stata forte dopo Brexit e nelle prime ore dopo l’elezione di Trump. Poi, piano piano, nelle tornate elettorali di Usa e Gran Bretagna le Borse si sono sempre rimesse a posto. Perché la speculazione di breve si chiude. E perché i mercati capiscono che i timori della vigilia erano quantomeno prematuri: nessuno può sapere ora come si materializzerà Brexit, nessuno può prevedere come si comporterà alla Casa Bianca Trump. Nel caso italiano i motivi di incertezza sono tanti (a partire dall’aumento di capitale del Montepaschi che rischia di essere davvero destabilizzante), ma il ragionamento non può che essere lo stesso: nessuno può immaginare quali conseguenze di medio-lungo periodo può avere il referendum. Ecco perché non bisogna impressionarsi più di tanto delle reazioni a “caldo” in Borsa.
Tutto questo stimola almeno due considerazioni. La prima è che il mercato finanziario è ormai talmente automatizzato e autoreferenziale che si distacca troppo spesso – almeno nei movimenti di breve termine – dalla realtà. Tende ad esasperare così tanto le emozioni e ad esagerare le reazioni nel breve termine, che finisce troppo spesso per perdere di vista la reale portata degli eventi. La seconda considerazione è che, proprio per questo, i cittadini devono votare senza guardare la reazione possibile o temuta dei listini. Perché, qualunque sia quella iniziale, nel lungo termine (quando la speculazione lascia il posto agli investitori più cauti) tutto torna a posto: i Paesi o le aziende che meritano fiducia tornano a meritare fiducia, quelli che non la meritano tornano a non meritarla. Sotto il polverone della speculazione, in fondo, c’è pur sempre il mondo reale.