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 1998  aprile 25 Sabato calendario

La vita segreta degli insetti geniali

• I maschi delle duemila specie di moscerini della frutta fanno serenate ronzando con altrettanti diversi dialetti. Le femmine hanno una sola nota per rispondere: un lungo ronzio che significa ”no” (se invece tacciono, acconsentono).
• Il maschio della farfalla Apollo, dopo aver fecondato la femmina, secerne una sostanza con cui modella una specie di fiore e lo salda all’addome della sua compagna. Questa cintura di castità non scoraggia del tutto gli altri maschi, la femmina però è fedele e respinge senz’altro i nuovi spasimanti (mentre il maschio va subito in cerca di nuove mogli).
• Certi insetti seducono le femmine portando in dono qualcosa da mangiare. Ad esempio i maschi delle mosche predatrici catturano una zanzara, una pulce o un altro insetto e lo offrono alla femmina. Lei accetta, posa il regalo su una foglia e mentre mangia lui la penetra. Altri animali non si preoccupano affatto di nutrire la sposa: prendono un oggettino qualsiasi (un frammento di fiore, di foglia, di ramo secco) e lo avvolgono in una massa di seta simile allo zucchero filato. Altri ancora costruiscono soltanto la palla di seta e quando hanno finito di utilizzarla con una femmina, se è ancora in buono stato, se la riprendono e la portano a un’altra.
• Per garantire il trasferimento del polline, l’Ophrys insectifera (una varietà di orchidea), attira una vespa maschio travestendosi da vespa femmina. L’insetto tenta di farci l’amore e si agita imbrattandosi di polline, siccome l’orchidea non gli permette di soddisfare le sue voglie è infine costretto a cercare un altro fiore.
• Modo con cui alcuni insetti si difendono dai predatori. Il ragnetto mirmaracne finge di essere una formica (poiché ha otto zampe anziché sei, tiene sollevate le prime due come fossero antenne); un moscerino della frutta, in Arizona, imita proprio l’animale che potrebbe mangiarlo, cioè il ragno saltatore (se minacciato, agita le ali dov’è impressa l’immagine delle zampe del suo nemico); la farfalla atlante, che vive nelle Indie Orientali, ha disegnate sulle ali la testa di cobra; la farfalla thecla finge di avere la testa sul sedere (in questo modo fugge dalla parte opposta a quella prevista dall’aggressore).
• Il coleottero lomechusa si intrufola nei nidi delle formiche rosse e gli offre una sostanza inebriante secreta dal suo addome che a poco a poco le rende schiave. Le formiche, per coccolare e nutrire i fornitori di droga, trascurano perfino di provvedere alla loro regina. Talvolta il coleottero pretende di mangiarsi le uova e i piccoli delle formiche: loro, del tutto asservite, accettano senza protestare.
• La tignola rosicchia stoffe per mangiare ma anche per filare una specie di cappotto a forma di tubo, con lo scollo a ”V” sul davanti, dal quale si affaccia con la testa e le prime sei zampe. Crescendo, l’abito comincia ad andarle stretto e corto e la tignola si mette ad allargarlo e allungarlo: «Bisogna ammettere che la tarma fa quello che faremmo noi: un taglio e poi una striscia di grandezza adeguata da inserire tra le parti divise. Lei anzi fa di più: siccome non vuol rimanere allo scoperto mentre lavora taglia l’indumento fino a metà e ci mette la giunta, poi ripete l’operazione dalla parte opposta e infila il secondo pezzo. Per allungare, invece, aggiunge due balze» (René-Antoine de Réaumur).
• Se un calabrone si infila in un alveare le api si riuniscono intorno a lui in sciami di circa 250, formano una palla e battono violentemente le ali. Il movimento riscalda sempre più il centro della sfera e il calabrone, non sopportando il caldo, comincia a stare male. Dopo quattro minuti la temperatura sale a 46 gradi, limite massimo sopportato dall’intruso.
• In Francia, nelle foreste di carbone di Commentry, fu trovata una libellula fossile lunga un metro e con un’apertura alare di 74 centimetri (risalirebbe a più di 350 milioni di anni fa).
• Abitudine del coleottero zyras di collezionare crani di termite ripuliti, lucidati con cura e ammucchiati in bell’ordine.
• Nel 1562 l’arcivescovo di Parigi decise di scomunicare le bestie a suo parere dannose e cominciò dai bruchi. A Torino, dove quest’uso sopravvisse fino agli ultimi anni del Settecento, il municipio comprava ogni anno da Roma una maledittione: «Giunta la maledittione l’arcivescovo, in pompa magna, circondato dai canonici, col sindaco e i signori della città, andava in piazza Castello. Saliva su un palco coperto di velluto e scagliava la maledittione con voce tonante. Da quel momento i bruchi erano scomunicati» (Lo zoologo Michele Lessona).