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 2016  ottobre 27 Giovedì calendario

Addio alla storica sezione Pci
 Giubbonari, chiude tra le faide

Indietro popolo, niente riscossa: nella sede storica di via dei Giubbonari si chiude. Niente proroghe. Addio ai locali ma soprattutto a 70 anni di storia. Era il 1946 quando queste due stanze occupate dal partito del fascio vennero assegnate al Pci. Da allora sono cambiate le sigle, i leader, ma non questa sezione dove, assicurano gli iscritti, è conservato il sacro graal della sinistra. Dove gli iscritti si sono sempre rifiutati di togliere la targa di marmo con la falce e martello, «Pci sezione Regola Campitelli», con la dedica a Guido Rattoppatore, partigiano comunista fucilato al Forte Bravetta dai nazifascisti. 
Si riconsegnano i locali al comune «per mancanza di titolo», ossia di contratto, ci tiene a precisare Matteo Orfini, commissario del pd romano, «non per morosità». Anche se la realtà è che da quando Gianni Alemanno ha portato il canone a 1200 euro, sul bollettino pagato dalla sezione hanno continuato a scrivere 102 euro. È lui, ex giovane turco, il cerimoniere di questa cerimonia di addio: «Non è una giornata felice in questa sezione, bello chiamarla così per quelli come me che sono vintage», dice con un po’ di nostalgia. E non manca la polemica: «Vedo lacrime scendere da occhi che invece dovrebbero voltarsi dall’altra parte». Parole che rivelano il tormento della federazione romana, il dissesto economico, le lotte tra fazioni, la decisione di Renzi dopo mafia capitale di riprenderne il controllo. 

I militanti si abbracciano, facce meste, di circostanza, sospiri che sono come un linguaggio in codice tra vecchi compagni e compagne d’arme. Ad assistere, appese ai muri, le foto di Antonio Gramsci, di Enrico Berlinguer (quella con la cerata da velista e i capelli spettinati dal vento), e anche quella di Aldo Moro, aggiunta nei giorni della fusione tra Ds e Margherita, un omaggio al democristiano che cercò di aprire le porte del governo ai comunisti. 
Arrivano per il de profundis gli iscritti eccellenti, tra cui Luigi Zanda e Monica Cirinnà, ma i veri protagonisti di questa messa laica sono gli irriducibili, più di terza che di mezza età, che in questa chiusura non vedono solo la decisione della Corte dei Conti, ma un disegno in cui concorre anche un nemico «interno», chi vuole fare un partito «liquido», che non ha più «bisogno del territorio» come dice Luca Giordano, tesserato, sostenitore del comitato per il «No». «Un partito social che non consente più momenti di confronto come questo».E poi eccolo il nodo che rende gli umori più tesi: il referendum. «Ha spaccato il partito…». Ma c’è chi lo interrompe: «Siamo qui a parlare della sezione». Lui insiste: «È un brutto segno quando si inizia a offendere le persone che sono dentro al partito si apre a una cultura fascista…». E si rischia la rissa tra Bersaniani, dalemiani, renziani. Guido, si presenta: «Padre partigiano, mamma ebrea, sono reduce di Roma città aperta, avevo 7 anni, e le sopraffazioni non mi sono mai piaciute. Partito della Nazione? No grazie».
Le anime del partito che dicono addio a un luogo di condivisione e memoria, ma è come si preparassero ad altre separazioni. Sembra una riunione natalizia di una famiglia che si sforza di andare d’accorso il tempo di mangiare il panettone. Angelo, tesserato qui dal 2000 guarda la targa e dice: «È il ricordo di un popolo di sinistra che non esiste più. Adesso c’è Renzi». Altre proteste, altri mugugni. Renato Viganotti non ha un carattere facile e l’occasione non lo migliora: «Non voglio parlare». Fu lui nel 2008 a rifiutarsi di porgere la mano silvio Berlusconi che passeggiando per il centro fece capolino a via dei Giubbonari 38. «Ma siete tutti così tristi voi comunisti?», domandò Berlusconi. Gli rispose Stelvio Garasi, segretario di un circolo Anpi, «fa così perché lui è juventino».

Parla Luigi Zanda che dice che per la soluzione di questa vicenda «sperava in Marino non certo nella Raggi». Insomma non ci crede che con questa amministrazione si possa tornare in possesso della sezione dopo una regolare gara. Ma ribadisce anche lui che il «partito non può vivere senza una struttura di sezioni molto forte». E che presto arriverà una nuova sede. Gaspare Borsellino ha 80 anni, e prevede «macerie» dopo il 5 dicembre, «chiunque vinca». «Io la tessera del partito la ho presa solo un anno fa, per questo mi chiamano “l’ultimo giapponese”».