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 2016  ottobre 27 Giovedì calendario

Minacce e aggressioni raddoppiate. Il pericoloso mestiere del calciatore

ROMA Non è normale, anzi, #nonènormale, come l’hashtag, il messaggio che l’Aic lancia al mondo del calcio italiano. Non è normale che durante la stagione scorsa 117 volte i calciatori di tutti i campionati siano stati minacciati, aggrediti, umiliati, a volte processati dalla propria curva. Non è normale che in un anno il dato si sia più che raddoppiato: nel 2014-2015 i casi erano stati 52. Non è normale la “rimonta” del calcio dilettantistico e giovanile nei confronti del mondo professionistico, la torta ora è divisa 45% a 55, un anno fa si era 30 a 70. Non è normale, infine, che il Sud continui l’eterna battaglia contro il proprio gioco preferito, oltre metà delle volte è in Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna che il calcio scivola nelle pagine di cronaca.
Accade ed è nel cuore del terzo rapporto “Calciatori sotto tiro”, un’impietosa analisi sul mestiere del calciatore nell’Italia che non perdona sconfitte, che fischia il colore della pelle, che usa i social come accaduto nei confronti di Santon un paio di giorni fa. Il terreno dello scontro è sempre meno lo stadio e sempre più la piazza, la strada, il centro sportivo o Internet. «Un risultato importante l’abbiamo ottenuto» racconta il presidente dell’Aic Damiano Tommasi «provando a tranciare i rapporti diretti tra tifo e calciatori con la proposta di squalifica in caso dei famigerati colloqui sotto la curva, ma molto si deve ancora fare, non possiamo aspettare la prossima tragedia, il prossimo Heysel per iniziare a intuire la minaccia che il calcio vive. Io però non mi arrendo e continuo a portare allo stadio i miei figli».
Un episodio su quattro avviene in Serie A, il campionato a più alto tasso di violenza fisica e verbale. Segue la Lega Pro (19% dei casi). Solo il 12% degli episodi accade in Serie B. «Non è un caso, lì c’è un valido progetto di squadra tra tutte le componenti, Lega, club e società civile» racconta Tommasi. Il presidente della Lega di B Andrea Abodi incassa e rilancia: «Ma c’è un 12% di troppo, quando arriveremo a zero avremo davvero risolto il problema». Il modello Serie B, ecco. «Stiamo portando avanti iniziative sulla responsabilità sociale e sui rapporti col terzo settore nelle città del nostro campionato, un programma di educazione e di collaborazione tra i club, una progettualità di lungo periodo all’interno delle società, più di 200 eventi sul territorio. La violenza si combatte con l’educazione e la conoscenza. E poi inizia a farsi sentire l’importanza dello Slo, il delegato di ogni società ai rapporti con la tifoseria, una figura chiave copiata dall’estero che in Italia abbiamo inizialmente faticato a capire e che invece ha un ruolo essenziale, noi ci crediamo moltissimo».
Il Viminale combatte la battaglia con le armi che ha. A Roma ha ottenuto lo spezzettamento delle curve in settori più piccoli per impedire l’assembramento di 11mila persone in uno spazio di «immunità e dilagante delinquenza», ma presto, conferma il direttore dell’Osservatorio, Daniela Stradiotto, «se i tifosi dimostreranno un’acquisita maturità, potrebbero essere abbassate le barriere. Il nostro modello è lo stadio di Torino».