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 2016  ottobre 27 Giovedì calendario

Il tunnel dei ricatti

COME in un osceno selfie, le quattrocentonove pagine dell’ordinanza dell’Operazione “Amalgama” – trenta arresti per la corruzione che divorava le grandi commesse della Tav Milano-Genova, del 6° Macrolotto dell’A3 Salerno-Reggio Calabria e del “People Mover” di Pisa, l’impianto a fune che mette in collegamento l’aeroporto “Galileo Galilei” con la stazione centrale della città – ci ricordano la tabe che ha divorato e continua a divorare il Paese. E la sostanza di ciò che, da Nord a Sud, muove il mercato delle Opere pubbliche, distorce la concorrenza (che si vorrebbe “libera”) e che, in ultima analisi, come ha sottolineato ieri il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo su questo giornale, seleziona la nostra classe dirigente. Siano funzionari pubblici, ovvero manager e imprenditori.
Si scrive Corruzione. Ma si legge Ricatto.
Come nella inascoltata profezia dell’allora pm di Mani Pulite Gherardo Colombo (correva l’anno 2000 e lo intervistava Giuseppe D’Avanzo), non aver prosciugato il mare e gli affluenti del Sistema corruttivo che aveva collassato il Paese negli anni ’90, non aver coltivato anticorpi, ha prodotto una metastasi ancora più aggressiva e mutevole cementata dal Ricatto. I sistemi di relazioni, le parentele, le complicità, la distorsione genetica del rapporto tra committenza pubblica e appaltatore privato, il perenne e “ontologico” conflitto di interesse che innerva il Paese in ogni sua articolazione e in ossequio al quale controllore e controllato sono la stessa persona e in ogni interesse pubblico se ne intravede uno privato, sono transitate indenni dalla Prima alla Seconda Repubblica. Hanno definito e definiscono la natura del Potere in tutte le sue declinazioni.
Come ad un tavolo di bari, dove si sono cambiate le fiches, ma non si è mai smesso di giocare con le vecchie regole, nessuno è innocente. Tutti posso ricattare. Tutti sono ricattabili. Dunque, non è interesse di nessuno mandare a monte la partita. E quindi, un uomo come Giampiero De Michelis, fulcro della combriccola che aggiustava e spartiva appalti, “il Mostro”, come lo chiamavano, può ad un certo punto minacciare chi prova a scaricarlo, che andrà a raccontare tutto in Procura. O alla Guardia di Finanza. Che ha un «dossier esplosivo sull’Anas della Salerno-Reggio con cui massacrare tutti». Ma non perché sia fatta giustizia o pulizia. Ma perché in questo sistema deturpato dalla corruzione, la denuncia alla magistratura è solo uno strumento di estorsione.
La forza del Ricatto riduce del resto a simulacro la regola. E la “Legge Obiettivo”, quella che avrebbe dovuto garantire economicità, efficienza e trasparenza alle commesse pubbliche secondo la regola del general contractor e delle opere “chiavi in mano”, è diventata – grazie alla gabola che consente al controllato (la società che vince la commessa) di nominare il controllore (la direzione tecnica dei lavori che garantisce del rispetto dei tempi e dei costi) – una barzelletta. Meglio, un suk. Dove – come documenta l’ordinanza – il committente finge di non accorgersi che gli stati di avanzamento lavori dell’Opera che gli vengono proposti sono taroccati, ma utili a sbloccare tranche successive di finanziamenti. E per questo, in cambio, chiede di avere una parte negli utili. Privatissimi, va da sé. Dove, appunto, il direttore tecnico dei lavori, un “mostro” De Michelis qualunque, diventa il “cartaro” di una partita truccata. Le gare, sfilate di figuranti. Perché il vincitore è noto e gli altri devono fare solo da comparse. In attesa del loro turno o di qualche subappalto. E dove persino i contenziosi e gli arbitrati diventano solo stanze di compensazione dove regolare il prezzo della recita.
Nel 2010, quando la prima inchiesta della Procura di Firenze diede un primo calcio alla botola che copriva questo verminaio, la magistratura usò un aggettivo per definire il Sistema: «gelatinoso». Oggi, trascorsi sette anni, si parla di «amalgama». Siamo sempre lì. Non ci siamo mossi di un passo.