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 2016  ottobre 26 Mercoledì calendario

«Resto un compagno, non so di chi». Finardi, il rock e la sinistra: la mia «Musica ribelle» nacque 40 anni fa contro Baglioni e De André

«Anni fa mi misi a piangere in un grande negozio di dischi a Milano. Alle pareti c’erano i ritratti di molti colleghi e non il mio. È il grande dolore di chi non appartiene: doppio passaporto italiano e americano, rock e cantautore, una figlia con disabilità che mi faceva sentire diverso...». Col tempo Eugenio Finardi ha imparato a fare i conti col passato. Anche con quello musicale. A 40 anni da «Musica ribelle», inno generazionale anni Settanta, è andato a ripescare le registrazioni originali dei primi cinque album, quelli pubblicati con la mitica Cramps, li ha rimasterizzati e riuniti in un cofanetto (esce venerdì) con foto, ricordi e altro. Il 4 novembre con i musicisti di allora e qualche ospite ci sarà un concerto al Dal Verme di Milano per celebrare. «Non è un’operazione nostalgia. I testi militanti di allora sono attuali. I diritti civili di oggi sono figli di quell’epoca. È stato come salire sulla macchina del tempo».
Fra il ‘75 e il ‘78 Finardi pubblicò tre dischi («Non gettate alcun oggetto dai finestrini», «Sugo» e «Diesel»), che sono un racconto dell’Italia di allora. Testi che non facevano sconti a nessuno. Più che schierati. Contro il servizio di leva, contro la società borghese, contro le invasioni in Afghanistan e in Vietnam, contro il sistema scolastico, persino il privato diventava politico.
Nel giro di due anni, con l’omicidio Moro e altri avvenimenti, cambiò tutto. «Ai concerti c’era violenza, e saltò fuori anche qualche pistola. Dai dischi utopistici passai a quelli realistici come “Blitz”. Era il momento del riflusso, parola che misi nel testo di “Cuba” e che, una volta ripresa da Panorama finì per indicare quel periodo storico. “Extraterrestre” parlava dell’impossibilità di sfuggire a se stessi. Fu un flop. Oggi è il mio successo più grande. Allora mi diedero dell’escapista, del revisionista di destra». Oggi si sente come allora. «La penso sempre allo stesso modo, ma se allora ero un riformista moderato adesso mi sento un extra parlamentare. Sono ancora un compagno, ma non so di chi. La sinistra non c’è più, si è adattata al liberismo e chi non lo ha fatto esprime solo rabbia e non voglia di sognare».
C’era l’impegno per cambiare la società, ma anche quello per cambiare la musica. «Riprendendo i nastri originali ho realizzato che con “Musica ribelle” io e la band avevamo inventato un sound e avevamo rivoluzionato l’idea di rock italiano. In quel disco mandolini e violini elettrici sostituiscono le chitarre e mettono nel rock lo spirito italiano». Finardi fa un parallelo con la scena attuale. «Nel ‘75-’76 ci fu il big bang della musica italiana, con De Gregori, il Banco e noi che contribuimmo a ribaltare il panorama stagnante dei Sanremo con Peppino Di Capri. Ci vorrebbe lo stesso oggi, ma vedo soltanto Ministri e Lo Stato Sociale in grado di dire qualcosa». «Musica ribelle» è un simbolo. «Nacque nella stanza della musica di casa dei miei, quella in cui mamma che era cantante di opera dava lezioni. La scrissi in un’ora e capii l’idea greca della musa che ti sfiora con il velo e ti ispira». I protagonisti della canzone erano Anna e Marco: lei 17 anni che ascoltava cantanti «con le facce da bambini e con i loro cuori infranti»; lui 18 anni, invasato di rock anche se di quello italiano «quello che non reggo sono solo le parole». Che fine hanno fatto? «Hanno ancora 17 e 18 anni, non invecchieranno mai. Erano i ragazzi che vedevo intorno a me. Era il mio modo per criticare la musica italiana: da un lato me la prendevo con quelli come Baglioni, lui mi ha poi detto di aver sospettato qualcosa, e dall’altro con l’ermetismo che rinfacciavo a De Andrè perché pensavo fosse il momento di fare la rivoluzione nella musica e nella società: il Pci era vicino al sorpasso sulla Dc; credevamo veramente di poter cambiare il mondo».