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 2016  ottobre 26 Mercoledì calendario

Le donne «in carne» come simboli floridi di una natura antica

Seminude, tre floride sorelle assistono a uno spaventoso evento senza incrociare mai i loro sguardi. Per curiosità, Aglauro ha appena aperto una cesta nonostante il divieto di Atena, e dentro c’è Erittonio, il fanciullo con le gambe da serpente generato dalla Terra fecondata da Efesto. Aglauro si rifiuta di osservarlo e guarda fuori dal quadro, ma non verso di noi, lontano. Di spalle, Pandroso osserva cosa c’è dentro il canestro in vimini fermando la veste che la copre contro una balaustra, che la deforma in un magnifico panneggio. Ha le piante dei piedi sporchi come una popolana, e senza la Madonna dei pellegrini di Caravaggio sarebbe stata impossibile per Rubens immaginarli. Ha quasi la postura di un’Afrodite al bagno, lo stesso motivo dell’antichità che ispira Susanna e i vecchioni. Dall’altra parte della cesta, la sorella Erse, nuda, si conforta con una vecchia che le regge il panno rosso-Rubens. La scena di Le figlie di Cecrope scoprono Erittonio infante, olio su tela dipinto tra il 1615 e il 1616 (soggetto che Rubens ricava dalle Metamorfosi di Ovidio) non ha la drammaticità dell’epilogo descritto nella Periegesi di quel furbacchione di Pausania, ove le sorelle atterrite alla vista dei serpenti si gettano folli dall’Acropoli di Atene. A dire il vero, nel bozzetto preparatorio di questa tela, conservato al Courtauld Institute di Londra, Aglauro appare atterrita. Ma se nella versione finale nulla di così sconvolgente trapela dai sentimenti delle sorelle di fronte al loro peccato di superbia, è perché c’è una soluzione. Come potrebbe infatti, un osservatore, essere soddisfatto di una scena dove nessuno guarda nessuno? Ma non è così. Da tempo, Rubens era tornato ad Anversa, che si apprestava a diventare un emporio mercantile, portandosi Roma e l’antichità nel cuore. Un eros, infatti, sembra tranquillizzare Erse: l’orrendo fanciullo scoprirà anch’egli l’amore, sposerà la naiade Prassitea, darà alla luce Pandione, diventerà re di Atene, farà costruire una statua alla dea e inventerà la quadriga per nascondere le sue gambe deformi. La brocca d’oro, invece, testimonia che il fanciullo introdurrà il denaro in Grecia. Ma non solo. La forma della brocca deriva da un archetipo che sta per diventare il vero simbolo dell’arte barocca: la conchiglia. Il ventre umbilicato delle conchiglie, che Rubens dipinge in alto, sono le forme di Natura dalle quali la cultura figurativa muove i suoi infantili passi: l’ansa baccellata della brocca è come il ventre della conchiglia. Solo la Natura che resta a uno stadio spontaneo, come il cane che abbaia e l’uccello che si confonde tra le fronde, ha paura di Erittonio nella cesta deposta sopra un pavimento che, con i suoi quadrotti, esalta la prospettiva brunelleschiana. Ma chi ci osserva? Ad osservarci è, naturalmente, l’Antichità che è alle spalle della scena. A sinistra un giardino all’italiana è chiuso da un’arcata con motivo a serliana. Ci passeggia un pavone che fa capolino dietro l’erma di un satiro. Ecco il diabolico regista: lui sì guarda sottecchi che tutto vada come deve andare! E poi c’è Lei, dalla quale tutto la vicenda si è mossa e nella quale trova fine. Nell’edicola della fontana, dalla quale straborda l’acqua, la Terra nelle sembianze di una Artemide efesina, la dea dai grandi seni prosperosi, osserva e dona a tutti la vita. Ma, attenzione, stringe tra le sue braccia due delfini, gli stessi infinite volte replicati sulle lapidi e sulle urne romane dei primi secoli: sono coloro che ci accompagneranno nel viaggio dal quale nessun uomo ha mai fatto ritorno. Lei osserva chi sta fuori dalla scena. Lo sapeva. Era già tutto previsto. È l’antichità che ci parla attraverso le donne.