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 2016  ottobre 26 Mercoledì calendario

«Frutta e verdura per i poveri». Le mattine al mercato di Lele Mora

Milano Il rumore delle cassette impilate fuori su una panca non riesce a disturbare il canto acuto della suora che risuona nella chiesetta al momento dell’eucarestia. Lele Mora è arrivato anche stamattina con il solito carico di frutta e verdura per i troppi poveri della «arcidiocesi ortodossa di Aquileia» a Milano. Il re di una tv esibizionista ormai tramontata a 61 anni sta scontando le sue condanne in affidamento ai servizi sociali. Non rinnega il passato, ma nemmeno si rassegna a un futuro lontano dal mondo televisivo.
Quasi ogni mattina Mora sale sul pulmino Opel e va all’Ortomercato di Milano. Lo conoscono tutti, raccoglie le rimanenze che gli regalano i grossisti alla chiusura. Il ciclone Vallettopoli del 2007, dal quale uscì pulito, squassò gli affari della sua Lm che fatturava 60 milioni l’anno piazzando in tv e locali artisti dello spettacolo, veri o presunti, ma il colpo di grazia arrivò nel 2010 con l’arresto per la bancarotta della Lm e il coinvolgimento nel caso Ruby. Condannato a 6 anni e un mese, 14 mesi passati in carcere, sta scontando in affidamento la pena residua alla quale va aggiunto ancora qualcosa dopo la condanna per il prestito da 2,7 milioni di Silvio Berlusconi distratto dalla società e spartito con Emilio Fede. Terminerà a fine 2017.
Sono preistoria gli anni degli eccessi. Il Mora dal camicione bianco che, sdraiato e indolente, si lascia massaggiare i piedi da due ragazzi adoranti, ha lasciato posto a un anziano signore vestito di nero segnato dalle disavventure giudiziarie che fa servizio sociale. «Porto da mangiare, vestiti, sigarette, aiuti, quello che posso e che riesco a recuperare da aziende che me lo danno gratis. C’è tanta gente generosa», racconta nella bella casa a due passi dalla Stazione Centrale di Milano che, dice, gli presta un amico, piena di oggetti e simboli religiosi in un misticismo anche un po’ eccessivo. Una vita francescana.
«Da ragazzino, a Rovigo, volevo farmi frate. Poi ho studiato dalle Angeline. Sono devoto. Alcuni dicono che mi sono dato al Signore dopo i processi. Non è vero», afferma mentre manda giù le pillole che tengono a bada la depressione. «Le prendo per stare meglio e uscire da quello che è capitato nella mia testa» negli anni difficili della «grande umiliazione, più che per me, che sono uno che attutisce, incamera e digerisce, per la mia famiglia. Mia sorella mi disse che avevo rovinato la famiglia, mia figlia si è ammalata». Non può uscire dalle 23 alle 6 e lavora a 1.500 euro al mese nell’agenzia di pubblicità del figlio al quale è anche formalmente affidato: «È molto rigido, è tassativo, è uguale a mio papà. Prima non avevamo un grande rapporto, era cresciuto con la mamma ed essere il figlio di Lele Mora è una fatica, a volte lo vedevo che soffriva su certe cose, poi il carcere mi ha dato la possibilità di conoscerlo. È un ragazzo d’oro e mi fa ragionare». Dice che la sua vita non è facile: «Devi mangiare tuti i giorni e tutti i giorni è fine mese».
Gli si illuminano gli occhi quando parla della «sua» televisione, di quando, tra la fine degli anni 90 e il 2007, anche grazie all’amicizia con Berlusconi, che risaliva ai tempi di Craxi, era lui a dettare legge.
«Creavo dei sogni. Non avevo solo tronisti o personaggi dei reality, avevo i nomi migliori come Ventura, Ferilli, De Sica, Estrada, Falchi, Cucinotta, Raoul Bova». C’era anche chi diventava personaggio solo mostrando seno e fondoschiena. «Mi vergogno oggi su certe cose, ma sono sempre quelle che hanno funzionato, bene o male. Ogni mossa era da me studiata a tavolino, a parte i grandi numeri uno, che non hanno bisogno di nulla, gli altri erano solo dei burattini manovrati da me», disposti a tutto per una comparsata o per andare a cena da Berlusconi. «Tutti vogliono fare la televisione, tutti vogliono cantare. “Vengo a letto con te o vado a letto con chiunque vuoi, basta che mi fai fare successo. Ti pago, ti do soldi”, quando mi dicevano questo ho sempre detto “avete sbagliato palazzo, andate più avanti che c’è Corona”». Guadagnava tanto e non si faceva mancare nulla, ville da favola in Sardegna, la Bentley e l’aereo privato: «Non lo rinnego, era mania di grandezza, grande lusso, ma anche strumenti di lavoro».
Dalla ricchezza al pauperismo, da un eccesso all’altro. È sincero davvero? «Vengo dal niente, papà ci buttava giù dal letto per andare a pulire le stalle, a mungere le mucche. Lavati nella tinozza, latte caldo appena munto, pane biscottato e a scuola. Sono tornato il ragazzo di campagna che ero. La ricchezza non è importante. Faccio fatica a vivere oggi, ma non vado a chiedere e non ho rimpianti». Del Fabrizio Corona tornato in carcere per i soldi nel controsoffitto parla da innamorato ferito: «Una grande amarezza. Mi ha frequentato, ha colto la mia professionalità di tanti anni, il mio lavoro e alla fine ha distrutto tutto. È un bullo che non balla, bello e dannato, ma non mi emoziona più». Si è detto di una relazione: «L’ho amato molto e non ho avuto il coraggio di tenerlo nascosto, ma quello che uno fa tra i muri di casa sua è un’altra cosa. Quando lui arrivava a pranzo voleva il suo posto di fianco a me, chi c’era c’era lo faceva alzare. “Mi siedo vicino al mio amore”, diceva». Un rapporto vero? «Fortemente sentimentale all’inizio, dopo credo mi abbia usato, mi ha spennato, quando il pollo è rimasto senza penne ha cominciato a fare la sua strada. Gli dicevo di stare attento, ma non l’ha capito perché è malato di soldi, è una macchina da soldi, un genio del male. Non ha mai rubato, ma sapeva come prendere dalle persone». Il futuro? Impegno nel sociale e una trasmissione sul filone della nostalgia. Ci sta già lavorando.