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 2016  ottobre 24 Lunedì calendario

Il più libero dei tiri

D’ALTRONDE si chiamano tiri liberi. Insomma, già il loro nome ti spinge a fregartene di tutto e a cercare la tua strada. Questo deve aver pensato Chinanu Onuaku la prima volta.
27 giugno 2015, mondiali under 19, Heraklion (Creta). Usa contro Iran. Mancano 4’40’’ alla fine del primo quarto, quando Onuaku subisce fallo e va in lunetta. A sorpresa la sua squadra è in svantaggio, ma si tratta solo di uno di quegli inizi indolenti cui ci hanno abituato gli americani nei tornei internazionali. Presto i valori in campo saranno brutalmente ristabiliti, dunque non è per una questione di punteggio che a Onuaku, mentre riceve il pallone dall’arbitro, tremano un po’ le gambe. Il gesto che sta per compiere sarà insieme antico e rivoluzionario, il ragazzo ne è consapevole. Sta per violare una specie di tabù, ma al tempo stesso sta andando a ripescare una tradizione che sembrava morta e sepolta.
Per dire, l’ultima volta in cui si è vista una cosa del genere su un campo di basket, il presidente era Jimmy Carter. Correva l’anno 1980, e Rick Barry, tra i cinquanta cestisti più forti di tutti i tempi, chiudeva la carriera con uno strabiliante 89,3% dalla lunetta. Barry ci si piazzava a gambe larghe, afferrava il pallone con entrambe le mani, se lo portava appena al di sotto dei testicoli – non c’è altro modo per dirlo – e da quella poco nobile area anatomica lo lanciava verso il canestro con una grazia ai limiti della leggiadria. E segnava, Barry, nove volte su dieci.Un bel rompicapo questa tecnica, a cominciare dalla sua definizione. Benché il gesto richiami alla mente i primi incerti tentativi che facciamo da bambini, gli americani parlano di granny style, il tiro della nonna. Oggi il primo a stupirsene è lo stesso Barry, ma molti anni fa, quando suo padre gli suggerì di adottare questa meccanica non proprio ortodossa, tutt’altro che in linea col machismo del basket e per niente cool, Barry disse qualcosa tipo: “Sul serio, pa’, vuoi che faccia il tiro della nonna?”.
Un bestione di due metri e passa che batte i liberi come un moccioso, o come una femminuccia – like a sissy –, o come la misteriosa nonna della definizione. Andiamo, sarebbe venuto giù il palazzetto dalle risate. E se alla fine Barry si convinse a provare almeno una volta, fu solo per togliersi il padre dalle scatole. Peccato che quel primo tiro sia andato a segno. E anche il secondo, e poi il terzo. Barry continuò a bucare la retìna quel giorno e poi i giorni seguenti, perfezionando via via una balistica che nell’ultimo biennio di attività gli avrebbe consentito, anche grazie al formidabile effetto antirotatorio impresso al pallone, di sfiorare il 95 per cento di liberi realizzati. E lì non rideva più nessuno, meno che meno gli avversari di Barry.
Ma ora siamo in un altro millennio, Usa contro Iran, Chinanu Onuaku è in lunetta, e chissà come reagirà il pubblico dopo tutto questo tempo. Già, perché all’indomani del ritiro di Barry nessuno più ha avuto il coraggio di riproporre il granny style. Intanto il nome è rimasto quello, così come non è mutata l’idea che sia un mezzuccio for dummies, una cosa da principianti, se non proprio da sfigati con i pettorali flosci, mentre Onuaku è un colosso d’ebano di 2,08 per 111 kg che schiaccia in faccia agli avversari. Inoltre va ricordato che siamo a Heraklion, la città di Ercole. E allora perché Onuaku divarica le gambe? Perché, invece di sollevare il pallone all’altezza della tempia, lo cala inequivocabilmente verso le parti basse?
Rick Barry, sempre lui: ecco perché.
Circa un anno prima di Usa-Iran, Rick Pitino, all’epoca coach di Onuaku, convoca il ragazzo nel suo ufficio, gli mostra un video di Barry ed ecco che la storia si ripete. La perplessità del giovane campione, una prova in palestra a porte chiuse giusto per tenere buono il coach, tanto lui in pubblico non tirerà mai così, non lo farà neanche morto, nemmeno se le percentuali dovessero migliorare, e in effetti, beh, le percentuali migliorano, crescono già in quei primi tentativi, poi anche in allenamento, i compagni ridacchiano ma ormai è tardi per tornare indietro, perché siamo a fine stagione e fra poco ci sono i mondiali, la scritta USA sul petto, il tuo nome sulle spalle, l’intero pianeta che ti guarda mentre sei in lunetta.
Onuaku si piega sulle gambe e lancia dal basso. Fra un anno esatto, il 23 giugno 2016, ci sarà la chiamata, l’NBA, gli Houston Rockets. Ma non è ancora il momento, per adesso il pallone vola verso il canestro con un bell’effetto antirotatorio, ed è giusto così. Avanzare e insieme tornare indietro. Il futuro e il passato nello stesso gesto. Lì dentro c’è Rick Barry e c’è Onuaku, la misteriosa nonna della definizione e il bambino che tira a canestro per la prima volta.