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 2016  ottobre 23 Domenica calendario

Con il papa cattivo Sorrentino 
fa ascolti da record

«Quando tornate a casa, date uno schiaffone ai vostri bambini: loro sanno perché». Il passaggio dal Papa buono (Giovanni XXIII) al Papa bono (Jude Law) sarebbe perfettamente suggellato dalla parafrasi del finale del celebre discorso alla luna del povero Giovanni Roncalli. Perché il Papa di Paolo Sorrentino (Pio XIII) è il ribaltamento di ogni narrazione sulla Chiesa Cattolica fatta negli ultimi sessant’anni o giù di lì. E per questo è un successo.

Se per il Vaticano questo è l’anno del Giubileo della Misericordia, per Sky (che trasmette «The Young Pope» in dieci puntate) questo è il Giubileo degli Ascolti. Quasi un milione di persone hanno seguito le prime due puntate. Più del doppio rispetto al celebratissimo «Gomorra». Alleluia. Fa il suo dovere il fascino del male, della cattiveria, della durezza, della pratica del potere assoluto. Ma non basta. Fosse solo questo, «The Young Pope» sarebbe la versione d’Oltretevere di «House of cards», con Pio XIII nel ruolo di Frank Underwood e suor Mary in quello di Claire. Ma Sorrentino, sornione come un gatto che gioca lento (lentissimo) a torturare il topo, punta più in alto. O forse altrove.

«Cosa abbiamo dimenticato?», urla minaccioso alla folla Jude Law nel primo discorso dal sagrato di San Pietro una volta eletto Papa, replicando il gesto delle braccia spalancate e il volto al cielo che fu di Pio XII in visita al quartiere di San Lorenzo bombardato. A quella domanda seguono delle risposte che ammutoliscono la piazza prima osannante. Se la Chiesa, dagli Anni Cinquanta in poi, ha lottato per costruirsi un nuovo ruolo nella storia, fondando la sua immagine sul sorriso, l’accoglienza, la bonomia, la comprensione, l’empatia, il Pio XIII della fiction è l’opposto. Disprezza gli uomini e la loro sete di rapporti cordiali. Disprezza le loro piccolezze, i peccati, le debolezze, la voglia di essere rassicurati. «Ognuno è solo di fronte a Dio. Dio non si occupa di voi, così come voi non vi occupate di lui. Non vi sono vicino, né lo sarò mai».

Il giovane Papa di Sorrentino aggredisce le domande intorno alla natura dell’uomo e il suo rapporto con Dio e l’eterno. E le scarnifica. «Sono ambiguo – recita Jude Law – come il Padre, il figlio e lo Spirito Santo. Come Maria, vergine e madre. Come gli uomini, buoni e cattivi». Nessuna consolazione (né nella filosofia, né nella religione, sorry), nessuna pietà per i fedeli che cantano garruli parole semplici. Nessuna propensione all’egualitarismo. Più di tutto, nessuna concessione allo spirito dei tempi.

Ecco che cosa ci eravamo dimenticati. La Chiesa preconciliare, il suo vertice nell’esercizio brutale del potere assoluto. Così come, in vari, più o meno cruenti modi l’avevano conosciuta i nostri antenati per qualcosa come diciassette secoli, dal Concilio di Nicea alla fine della seconda guerra mondiale. Pio XIII è persino ritratto con la severa, antica e ricchissima tiara simile a quella di Innocenzo III (il Papa che fece massacrare migliaia di eretici e fu lì lì per scomunicare san Francesco). Del resto il fatto che Giovanni XXIII fosse definito «il Papa buono» avrebbe dovuto lasciare più di un dubbio ai contemporanei su quello che nella storia dei papi è piuttosto chiaro: ce ne è stato più di uno abbastanza cattivo.

Dove le parole d’ordine nell’ultimo mezzo secolo sono state compassione e vicinanza, in Pio XIII la negazione di sé agli altri è totale. Negli anni abbiamo imparato a convivere con le foto del Papa, le bandiere del Papa, i piattini del Papa, le gondole di Venezia col Papa, la palla che se la giri esce la neve col Papa. Pio XIII esige di non apparire più ai fedeli. Come Mina ai fan. Come Dylan all’Accademia del Nobel. Come l’olio di palma in ogni prodotto che la mamma perbene fornisce ai suoi pargoli. 
Le prossime otto puntate diranno dove Sorrentino ha deciso di portare la sua Chiesa dell’incubo. Molto probabilmente in nessun posto rassicurante. E proprio per questo, maledettamente attraente.