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 2016  ottobre 22 Sabato calendario

Chesky, il fondatore di Airbnb: dobbiamo vedercela con 700 sistemi fiscali

NEW YORK «Il nostro è un business, certo, ma pensiamo anche alla città del futuro. Cambierà il trasporto con l’auto senza guidatore, ma sta cambiando anche il modo di sfruttare gli spazi grazie alle opportunità offerte dalle tecnologie digitali. Noi facciamo questo, offriamo alloggi altrimenti non sfruttati. Scontrandoci spesso con regole invecchiate. A New York abbiamo problemi, certo, ma lì ci sono 3 milioni di case vuote».
L’incontro col fondatore e amministratore delegato di Airbnb, Brian Chesky, è di qualche giorno fa, a San Francisco, nel corso di una conferenza tecnologica. Un incontro con alcuni giornalisti ed esperti al quale ha partecipato il Corriere. Ma l’ex bodybuilder e industrial designer, ora a capo di un’azienda valutata, secondo le stime più recenti, 30 miliardi di dollari, cioè più della capitalizzazioni dei gruppi alberghieri Hilton, Sheraton e Marriott messi insieme, non si è tirato indietro davanti a domande spinose sulla tendenza di Airbnb a forzare le regole fissate da Stati e città.Chesky, una maglietta chiara aderentissima sopra le spalle potenti forgiate dalla sua passione sportiva giovanile, il sollevamento pesi, usa anche toni scanzonati («...e bravi, mi avete invitato a incontrarvi in un albergo, proprio con me l’avete fatto...») ma poi è attento a misurare le parole.Avete un enorme successo, ma la vostra formula è contestata non solo nella vecchia Europa, ma anche qui, a San Francisco, e a New York.Il fondatore di Airbnb la prende alla larga. Non entra nel merito della disputa con New York, ma sostiene che i suoi interlocutori spesso non si rendono conto del valore di Airbnb. Del ruolo che può svolgere, ad esempio «per rivitalizzare quartieri residenziali nei quali, con l’e-commerce, ci saranno sempre meno negozi e supermarket. Sempre meno Wal-Mart e sempre più bar, trattorie e luoghi di intrattenimento: chi arriva in questi alloggi aiuta i residenti che affittano, ma crea anche un mercato per l’apertura di nuovi locali».La sensazione, però, è che con molte amministrazioni Airbnb cerchi scorciatoie, ignorando le norme locali.«Entriamo con durezza? Non direi. A volte fatichiamo a farci capire, troviamo amministrazioni che non vedono il valore della sharing economy : non si rendono conto che è un fenomeno appena iniziato e che ha un grande futuro. E poi ogni città ha regole diverse, vuole essere diversa. A San Francisco abbiamo vita dura, a Tokyo c’è l’atteggiamento opposto. Vi rendete conto? Nel mondo ormai siamo in 50 mila località, offriamo 2 milioni di annunci, ci confrontiamo con 700 sistemi fiscali diversi e con un numero infinito di sistemi di registrazione e di ispezione».Però a volte le regole le forzate.«Prima di regolare, gli amministratori dovrebbero cercare di capire cos’è questo nuovo servizio, cosa può offrire. Invece spesso c’è una sorta di sconnessione: ci si limita ad applicare norme vecchie, obsolete nella nuova realtà. In altri casi troviamo disponibilità, lo sforzo di capire. È un problema di curva di apprendimento. In Europa, ad esempio, città come Amsterdam, Parigi e Amburgo la stanno percorrendo. Ognuno a suo modo e con risultati diversi».Catene alberghiere a parte, chi protesta sostiene che la sharing economy in realtà alimenta l’egoismo. Voi vi considerate, invece, non solo fattore di crescita, ma anche un’impresa a suo modo «sociale».«Certo, siamo fattore di crescita. Per restare in Europa pensi ai tanti che in Spagna e Portogallo hanno usato anche il reddito ricavato attraverso Airbnb per compensare i danni economici della grande crisi del 2008. E nei momenti dei disastri ambientali, dall’uragano Sandy al recente Matthew, ci siamo mobilitati per alleviare il problema dei senzatetto. Ma anche dopo il massacro in un locale di Orlando: abbiamo ospitato 150 parenti delle vittime dopo la strage e nei giorni del memorial».Massimo Gaggi

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La battaglia globale contro Airbnb
NEW YORK Prima duri annunciando la denuncia contro lo Stato di New York accusato di aver varato una legge illegale, poi Airbnb stava percorrendo la strada della mediazione proprio mentre la norma del Senato contro gli affitti brevi è arrivata sul tavolo del governatore Andrew Cuomo che l’ha ratificata ieri sera. La legge proibisce l’affitto per meno di 30 giorni per gli edifici di classe A (quelli con 3 o più appartamenti), fissando, in caso di violazione, multe fino a 7.500 dollari. Per Airbnb, che ha 45 mila unità nella sola città di New York, un guaio grosso: la Mela è il suo mercato più rilevante. Airbnb accusa: siete succubi della lobby degli alberghi. Forse denuncerà lo Stato con lo stesso argomento usato a San Francisco: la violazione del «free speech» garantito dalla Costituzione. Ma ha tentato fino all’ultimo la mediazione. La sua offerta: pronta a raccogliere e a versare le tasse per tutti gli affitti «short term» a New York, a vietare a ogni padrone di casa di affittare più di un appartamento (per non creare un’attività alberghiera occulta), a registrare tutto comunicando i dati ai municipi, a introdurre nuovi meccanismi assicurativi e a stabilire una «hot line» telefonica per registrare le proteste di chi è disturbato dagli inquilini.
M. Ga.

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«Offriamo una stanza a tutto il mondo: è un regalo culturale»
«Non è banale organizzarsi, ma è un regalo culturale che fac-ciamo a noi stessi e alle nostre tre figlie». Gualtiero e Tania Pezzoni han-no iniziato da poco ad affittare una stanza nella casa dove vivono, sui Navigli a Mila-no. «Presa a piccole dosi, ospitare è una attività che ci lascia entusiasti», dicono.Qual è la molla che vi ha spinto?«Avevamo qualche timore: correre in pausa pranzo ad accogliere gli ospiti, lavare per loro lenzuola e asciugamani, sistemare tutto, è un po’ faticoso. Ci sia-mo decisi per la prospettiva di un piccolo guadagno e soprattutto per curiosità. Ricevere gente da tutto il mondo è un po’ come viaggiare. Ci piace che le nostre bambine vengano a contatto con culture e stili di vita diversi. È educativo».Ci sono adempimenti complessi?«Bisogna fare le comunicazioni buro-cratiche e avere dimestichezza con il web. Spero che le locazioni turistiche, quelle di chi come noi affitta sporadicamente il luogo dove vive, non vengano assimilate alle case vacanza, vere e proprie strutture ricettive: se ospitare dovesse diventare più oneroso credo non lo faremmo più».
Elisabetta Andreis

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Ma non penalizzate i viaggiatori: sono gli unici innocenti
Però lasciateci Airbnb. Perché chi lo usa non cerca droga, non compra armi, non vende pornografia: vuole un bel posto dove stare, in una città nuova, a un prezzo ragionevole. Gli scontri di Airbnb con le autorità di New York, Barcellona, Berlino, Islanda – potete leggerne in questa pagina – sono preoccupanti. Sul terreno, infatti, potrebbero restare gli unici, veri innocenti: i viaggiatori, gli utenti, i consumatori. Sono comprensibili le preoccupazioni degli albergatori, dei condòmini, delle autorità fiscali e di quelle municipali. Sono evidenti le astuzie di un grande operatore che ha capito d’avere il vento della storia – e della Rete – nelle vele. Ma è altrettanto evidente che, a pagare, non possono essere gli utenti. La vicenda di Airbnb ricorda quella di Uber. Stato in luogo, moto a luogo. In un caso e nell’altro Internet – il grande distruttore, il grande aggregatore – ha consentito di rispondere a una domanda immensa, che il mercato evidentemente non soddisfaceva. Da un lato, la necessità di trasporto privato, diversa dai taxi. Dall’altro, la ricerca di un alloggio – accomodation, in milanese moderno – alternativo a hotel e pensioni. L’unico modo di squalificare questi servizi è sostenere che mettono in crisi un modello sociale (basato su licenze, permessi, autorizzazioni). Le altre questioni – la conformità fiscale, le condizioni di lavoro e di sicurezza – si risolvono, prima o poi. Bisogna capire qual è la nuova offerta adeguata alla nuova domanda. Ma questa domanda è imponente, e non può essere ignorata. Gli utenti di Airbnb non sono, se non in parte, clienti sottratti agli alberghi tradizionali. Certo, hanno messo in grave difficoltà molti piccoli esercizi. Ma la vulnerabilità di questi ultimi è una prova: forse non offrivano un servizio adatto ai tempi. Se il dilettante (il privato che offre la casa su Airbnb) batte facilmente il professionista (la pensione, il piccolo hotel), quest’ultimo ha il dovere di chiedersi: che prodotto offrivo? È giusto pretendere che i grandi operatori internazionali rispettino le regole e paghino le imposte (cosa che fanno sempre malvolentieri): ma boicottarli è scorretto, e ignorarli è impossibile. «Tanto il mercato si riorganizza. E si riorganizza con forme meno legittime», spiega l’avvocato Velia Leone, che insegna regolamentazione in Bocconi. È così. Il mercato – basato su domanda e offerta – ha una forza che le pubbliche autorità possono, e devono, regolamentare. Ma non possono cancellare. Fermare la domanda che arriva impetuosa attraverso la Rete, e la Rete permette di organizzare, è come tentare di fermare un torrente con le mani: grottesco, e ovviamente impossibile. Qualcuno lo ha capito. Le case automobilistiche non hanno gridato allo scandalo quando hanno capito che una nuova generazione urbana vuole usare le automobili, non possederle (Enjoy, Car2go etc). Hanno cercato di capire come sfruttare il nuovo fenomeno, e farci soldi. Regolate Airbnb, ma lasciatecelo: anche perché non avete alternativa. L’economia della condivisione (sharing economy) si chiama così perché moltissimi, dovunque, vogliono condividerla. Prima lo capiamo, meglio è.
Beppe Severgnini

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Ok del Municipio e mai l’intera casa per l’affitto via web
Tra gli argomenti sollevati da chi vuole fermare l’attività di affitto di case e stanze da parte di privati, Berlino ne ha trovato uno originale. Il Senato della città dice che fa aumentare gli affitti per i berlinesi e quindi aggrava uno dei problemi considerati da alcuni tra i maggiori nella capitale: la gentrification della città, cioè la trasformazione dei quartieri poveri in zone ristrutturate, abitate da benestanti con al seguito ristoranti, negozi e turisti. L’amministrazione comunale ha dunque fatto una legge, in vigore dallo scorso 1° maggio, sulla base della quale per affittare a un turista un berlinese deve avere l’autorizzazione. In ogni caso, potrà affittare solo una o più stanze se in contemporanea ci abita, mai l’appartamento nella sua interezza. La multa può arrivare fino a centomila euro. Le piattaforme online, come Airbnb e Wimdu, sono tenute a informare delle regole i proprietari di casa che vogliono entrare nei loro elenchi. Ed è stato aperto un portale nel quale i cittadini sono invitati a segnalare alle autorità, anonimamente, casi di infrazione. In realtà, verranno recuperate solo poche migliaia di appartamenti, senza effetto sugli affitti.
Danilo Taino

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Accordo con la app e locazione vietata per più di 4 mesi
Con oltre 65 mila case destinate all’affitto di corta durata, Parigi è il più grande mercato di Airbnb davanti a New York. Un primato non privo di difficoltà, perché la sindaca Anne Hidalgo è chiamata da un lato a rilanciare il turismo dopo gli attentati, dall’altro ad ascoltare le lamentele degli albergatori già colpiti e infine a conservare Parigi come una città anche per le persone comuni, negli ultimi anni espulse dalla capitale a causa di un mercato immobiliare dai prezzi simili a quelli altissimi di Londra. Le regole prevedono che un privato non possa affittare la casa su Airbnb per più di 4 mesi all’anno: se supera la soglia dovrà offrire alla locazione tradizionale, a lungo termine, una superficie equivalente nello stesso arrondissement. I trasgressori rischiano un’ammenda di 25 mila euro. Parigi ha poi stretto un accordo con Airbnb per il pagamento della tassa di soggiorno: da ottobre 2015 il Comune ha percepito 5,5 milioni di euro. Nel luglio scorso Airbnb ha annunciato di avere superato i 10 milioni di viaggiatori ospitati in Francia dal 2008. Mezzo milione di turisti sono stati accolti in case Airbnb tra metà giugno e metà settembre a Parigi, con permanenze in media di quattro giorni.
Stefano Montefiori

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Licenza comunale e invito a segnalare gli alloggi abusivi
Affittare casa informalmente ai turisti è illegale in Catalogna. Occorre una licenza del Comune e che il numero sia chiaramente esposto sull’inserzione. Non solo: i requisiti per poter alloggiare a pagamento in appartamenti privati prevedono tra l’altro la segnalazione ai commissariati delle generalità degli ospiti e il pagamento della tassa di soggiorno. Barcellona è la quarta città europea per offerta di appartamenti su Airbnb (l’affitto di una singola stanza è vietato): a giugno c’erano quasi 20 mila annunci, e circa 9.800 non dichiaravano il numero di licenza, il che lascia supporre che non l’avessero. Il sindaco, Ada Colau, non intende farla passare liscia ai trasgressori e nemmeno ad Airbnb, minacciata di sanzioni che arrivano a 600 mila euro, un salasso comunque molto relativo per una piattaforma che muove miliardi. L’amministrazione comunale ha chiesto ai cittadini di denunciare i vicini, proprietari di alloggi affittati in barba alle regole, ottenendo nel giro di pochi giorni 400 segnalazioni. La popolazione è esasperata dall’impatto del turismo, in forte aumento anche nei quartieri meno centrali. Nascono dunque associazioni di zona che danno la caccia agli abusivi.
Elisabetta Rosaspina

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Soggiorno e rifiuti, qui è la società Usa a riscuotere le tasse
Palazzo Vecchio è stato il primo comune a siglare un accordo con Airbnb per il pagamento della tassa di soggiorno. Il «sì» definitivo è arrivato a inizio anno e prevede che sia il portale dell’affitto condiviso a riscuotere la tassa (circa 2,5 euro a notte per un massimo di sette notti) e a versarla periodicamente nelle casse municipali. In più i proprietari degli alloggi affittati dovranno pagare un euro di Tari, la tariffa sui rifiuti, per ogni stanza. Complessivamente, secondo alcuni calcoli dei tecnici, nelle casse del Comune fiorentino arriveranno dieci milioni di euro in più ogni anno. Ma se l’accordo tra Airbnb e Palazzo Vecchio è stato siglato senza strappi, gli operatori degli affitti turistici hanno bocciato la nuova legge sul turismo approvata dalla Giunta regionale toscana e che sarà a breve discussa dal Consiglio. L’associazione nazionale Property Managers Italia (alla quale appartengono anche molti proprietari di case che utilizzano Airbnb) ha annunciato un ricorso al Tar contro la nuova normativa. Tra i punti contestati il limite di 90 giorni l’anno per le locazioni inferiori ai 7 giorni, l’obbligo di aprire la partita Iva e il divieto di intermediazione da parte delle agenzie immobiliari.
 Marco Gasperetti