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 2016  ottobre 20 Giovedì calendario

L’obiettivo è la caccia alla vita aliena:
super-microbi in habitat terribili

Quando si parla di Marte, è quasi automatico pensare alla vita extraterrestre. Alla fine del XIX secolo fu proprio Giovanni Schiaparelli a dare il via, sebbene non del tutto volontariamente, all’idea che il Pianeta Rosso potesse essere abitato. Ma, se nei vecchi racconti fantascientifici il marziano era una creatura vagamente antropomorfa (e con intenzioni per lo più bellicose), oggi sappiamo che se c’è vita, su Marte, può trattarsi al massimo di qualche microbo. E deve essere anche piuttosto resistente, perché le numerose missioni che hanno esplorato il pianeta negli ultimi decenni ci hanno restituito l’immagine di un mondo ostile, freddo, con un’atmosfera sottilissima, bombardato dalle radiazioni nocive provenienti dallo spazio e dal Sole. Insomma, un posto in cui sopravvivere non è affatto facile.


Tuttavia, abbiamo anche capito che il passato remoto di Marte è stato probabilmente molto diverso: miliardi di anni fa sul pianeta scorreva acqua liquida, l’atmosfera era più spessa e il clima più mite. Forse, allora, la vita microscopica è comparsa e si è poi rintanata in nicchie protette, sotto la superficie? 

È una possibilità aperta, e il programma ExoMars è stato pensato proprio per investigarla. Sorprendentemente, le uniche altre missioni progettate specificamente per cercare la vita su Marte risalgono ormai a 40 anni fa: le gloriose missioni Viking 1 e 2 della Nasa, che non riuscirono a trovare prove conclusive. Ma nel frattempo abbiamo capito molto di più, e vale la pena tentare ancora. C’è per esempio il mistero del metano marziano, osservato tra l’altro proprio da una sonda europea, la Mars Express. Sulla Terra, il metano è prodotto prevalentemente dall’attività biologica. È anche un composto che viene distrutto piuttosto facilmente, per esempio dalle radiazioni ultraviolette, e quindi non può rimanere nell’atmosfera molto a lungo in assenza di sorgenti attive. Su Marte, sembra presentarsi localizzato in punti specifici del pianeta, in quantità variabile con le stagioni. La possibilità più intrigante è che sia prodotto da batteri nascosti nel sottosuolo, ma esistono anche processi non biologici in grado di spiegare il fenomeno: per funzionare, però, questi richiederebbero la presenza di acqua liquida o di sorgenti vulcaniche sotterranee, ed entrambe le cose sarebbero di per sé interessanti. Il modulo «Trace Gas Orbiter», che resterà in orbita attorno a Marte, proverà a fare luce sulla questione. 

Quanto al modulo Schiaparelli, potrebbe fornirci indicazioni utili per preparare la parte più ghiotta della missione. 
Prevede la discesa sul suolo marziano di un rover dotato di trapano per prelevare campioni fino a due metri di profondità, su cui effettuare analisi biologiche. Se ne parlerà non prima del 2020. Abbiamo aspettato più di un secolo, ma finalmente potremmo essere davvero vicini a capire se i marziani ci sono davvero.