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 2016  ottobre 20 Giovedì calendario

Civiltà perdute e incontri impossibili
. E se alla fine fossimo noi i marziani?

Se siamo così affascinati da Marte la colpa non è solo degli antichi Greci e dei loro dei. È anche dell’astronomo italiano Giovanni Schiaparelli, che nel 1877 credette di vedere al telescopio canali rettilinei lunghi decine di chilometri sulla superficie del pianeta. Saggiamente non commentò la sua scoperta, ma altri lo fecero: i canali erano chiaramente la prova che su Marte esistevano creature intelligenti, le quali irrigavano il suolo grazie ai solchi che avevano scavato. 

Solo alla fine del ‘900 le foto del Mars Global Surveyor hanno definitivamente dimostrato che i canali di Schiapparelli non esistono, ma la convinzione che il Pianeta Rosso sia pieno di misteri è ancora dura a morire. Perché tutte le agenzie spaziali del mondo cercherebbero di andarci, se non ci fosse qualche mistero? E la Nasa perché non ci dice la verità, visto che sicuramente la conosce? Le sonde che sono atterrate sul pianeta e le foto ad alta risoluzione scattate dall’orbita non hanno fatto altro che generare altra curiosità. 

I canali non ci sono, ma le prove che su Marte ci fosse acqua allo stato liquido sono ormai evidenti: che cosa è dunque accaduto a quel pianeta? Forse un impatto cosmico, di cui resta un immenso sfregio nella Vallis Marineris, lo ha privato improvvisamente dell’atmosfera, cancellando ogni forma di vita? La sua popolazione è riuscita a mettersi in salvo? Siamo noi i marziani? 
Intorno a queste domande, che ogni serio studioso del sistema solare considera ridicole, è nata molta letteratura fantascientifica, il cui prodotto più riuscito è «La guerra dei mondi» di H.G. Wells, pubblicato nel 1898 e reso ancora più famoso dal terrorizzante adattamento radiofonico di Orson Welles del 1938, che fece scendere la gente in strada. Ma è il cinema ad aver fatto ancora di meglio, con decine di film che offrono ognuno la propria versione sui misteri marziani.
Per restare ai più recenti, Brian De Palma ha sostenuto nel 2000 con «Mission to Mars» che sul pianeta esiste davvero un gigantesco volto umano scolpito sulla pietra (la «Face on Mars» fotografata dal Viking 1 nel 1976) dal quale è arrivata la civiltà che ha seminato la vita sulla Terra. Adesso si pensa che possa arrivare l’ora di fare il percorso inverso: se il nostro mondo finirà, andremo tutti su Marte. Per preparare un ambiente adatto, in «Pianeta Rosso» di Antony Hoffman si cerca di immettere ossigeno nell’atmosfera con alghe geneticamente modificate, ma il progetto fallisce. Così Matt Damon, in «The Martian», ci ha mostrato come la vita su Marte sarà tutt’altro che facile e piacevole. Ma dovremo rassegnarci: se bisognerà partire, tutti gli altri posti del sistema solare sembrano di gran lunga peggiori.