Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  ottobre 20 Giovedì calendario

Diego, quel tunnel al primo minuto che cambiò il calcio

Quel signore tracagnotto che qualche giorno fa a Roma farfugliava invettive contro il traditore Icardi e la sanguisuga Equitalia e che cercava la rissa con Veron all’Olimpico nella partita della Pace nasceva calcisticamente quarant’anni fa, oggi. Da allora, da quel 20 ottobre 1976, il mondo (del calcio) non sarebbe più stato lo stesso. Quarant’anni fa esordiva a 15 anni, 11 mesi e 20 giorni Diego Armando Maradona. All’epoca in Italia Matteo Renzi non aveva ancora due anni, Francesco Totti neppure un mese e lo scudetto batteva sul cuore della maglia granata del Torino. In Argentina aveva preso il potere da poco più di sei mesi una delle dittature più sanguinarie della storia con il triste triumvirato composto da Jorge Rafael Videla, Emilio Massera e Orlando Agosti.
Lunghi capelli ricci, occhi vispi, maglia rossa con banda trasversale bianca e numero 16 sulle spalle: così si presentava, quarant’anni fa, il piccolo Diego, stellina dell’Argentinos Juniors pronto a entrare nella storia. In quella partita di campionato contro il Talleres di Cordoba l’emergente Dieguito sarebbe entrato all’inizio della ripresa al posto di tal Ruben Anibal Giacobetti. L’Argentinos Juniors stava già perdendo in casa 0-1 e neppure l’ingresso di Maradona sarebbe servito a cambiare il risultato. Prese 4 Giacobetti nelle pagelle del settimanale sportivo El Grafico. Un bel 7 invece per Diego, sfacciato al punto da fare subito un tunnel al suo marcatore, Juan Domingo Cabrera. Il giornalista Hector Vega Onesime appioppò tre aggettivi all’esordiente Diego che non hanno bisogno di grandi traduzioni: «sorprendente, habilidoso e inteligente». Maradona era già allora un Pibe de Oro: giornali e televisioni si erano già occupati di lui che negli intervalli delle partite casalinghe dell’Argentinos intratteneva i tifosi con numeri da foca e palleggi da applausi. Nel settembre ’71 (a 11 anni ancora da compiere) il Clarin gli aveva dedicato un trafiletto. Nel titolo, per una beffa del destino, un refuso trasformò Maradona in Caradona. «Sabados Circulares», un rotocalco dell’Atc, la televisione di Stato, aveva realizzato un servizio che ritraeva l’undicenne Dieguito a palleggiare davanti alla sua umile casa di Villa Fiorito. Al microfono di Pipo Mancera, il conduttore del programma, una sorta di Pippo Baudo della Pampa, quel bimbetto avrebbe rilasciato dichiarazioni incredibilmente premonitrici: «Il mio sogno è giocare un Mon diale e vincerlo». Il sogno di giocare un Mondiale lo avrebbe realizzato undici anni dopo, in Spagna. Il sogno di vincerlo dovette rimandarlo al 1986.
Da quel 20 ottobre 1976 al 25 ottobre 1997, data dell’ultima partita ufficiale (con la maglia dell’amato Boca Juniors in un «superclasico» contro il River Plate vinto 2-1), Diego Maradona ha vinto di tutto e di più: tra gli altri, un Mondiale dei grandi e uno giovanile, tre scudetti (uno con il Boca, due con il Napoli) e una Coppa Uefa. Gli manca la Coppa dei Campioni: quella sudamericana, la Libertadores, non l’ha mai neppure giocata; quella europea, che da un po’ chiamiamo Champions League, l’ha visto fuori al primo turno nell’87 contro un Real Madrid non ancora galattico ma già forte di Butragueño, Michel e Martin Vazquez e fuori al secondo turno nel ’90 con lo Spartak Mosca.
Oggi, a 56 anni (li compirà il 30 ottobre), Diego vive a Dubai: vive soprattutto di ricordi, quelli – indimenticabili – che ha lasciato anche in Italia nelle sue sette stagioni napoletane. Formidabili quegli anni, quando la serie A era una cosa tremendamente seria, quando «piccole» come Udinese, Atalanta, Cagliari, Pisa e Pescara potevano permettersi fenomeni come Zico, Caniggia, Francescoli, Dunga e Junior. E quando lui, Dieguito, dispensava magie e regalava titoli a un Napoli che – nel pre e nel post Maradona – si sarebbe accontentato solo di qualche coppetta Italia.